(di Luca Ferrari e Laura Carrara *) L’effetto Brexit colpisce l’export italiano dei vini, l’analisi del centro studi DIVULGA (www.divulgastudi.it) sulla base dei dati ISTAT ha rilevato un crollo del 36% nel primo mese del 2021. L’industria italiana del vino, ancora segnata dall’effetto Covid, subisce un duro colpo in quanto il Regno Unito genera un volume d’affari di circa 3,7 miliardi di euro, classificandosi terzo buyer mondiale dopo Stati Uniti e Germania. Il groviglio normativo con cui devono fare i conti importatori e produttori ha certamente inciso su questo trend in negativo. Dalla fine del periodo di transizione, il regime di circolazione dei prodotti dall’Europa al Regno Unito e viceversa è divenuto rispettivamente esportazione e importazione, subendo il conseguente rallentamento dei relativi sistemi logistici. In questo contesto, diviene importante per le aziende considerare eventuali modifiche dei propri accordi commerciali in ragione dell’impatto economico causato da dilatamenti temporali e spese aggiuntive.
Gli esportatori italiani interessati al commercio extra-UE, tra i molteplici oneri introdotti, devono effettuare l’identificazione fiscale presso l’Agenzia dell’Entrate britannica e la registrazione IVA, oltre che provvedere alla richiesta di un codice alfanumerico EORI. In particolare anche la sola mancanza del codice EORI potrebbe comportare importanti perdite economiche all’imprenditore negligente, in quanto vi è il rischio di un blocco della merce, una multa e/o il sequestro dell’intero carico.
La situazione dazi e accise
Tra le macchinose procedure che si susseguono nel passaggio doganale è, tuttavia, garantito per i prodotti “made in Italy” un trattamento tariffario preferenziale mediante il divieto di applicazione di dazi nei confronti dei prodotti “originari”. L’esportatore italiano che vorrà usufruire di questa agevolazione dovrà proporre richiesta all’importatore e, sotto propria responsabilità, rilasciare un’attestazione in cui dichiara che il prodotto sia “originario”. Tale dichiarazione potrà essere allegata in fattura da parte degli iscritti alla banca dati Rex-Register Exporter System. In alternativa all’attestazione potrà presentarsi richiesta di adesione al regime tariffario preferenziale “sulla base della conoscenza del carattere originario del prodotto da parte dell’importatore”. I beni che non soddisfano il requisito dell’origine doganale, invece, saranno soggetti ai pagamenti tariffari stabiliti attraverso gli standard “Most Favoured Nation” intervenuti tra UE e UK. Sul versante delle accise, cui rientra anche il settore vitivinicolo, fino al 31 maggio 2021 potrà continuare ad essere utilizzato il sistema europeo Excise Movement and Control System (EMCS) per i prodotti di cui i movimenti sono ancora in corso. Successivamente a tale data e per i prodotti che non rientrano nella precedente categoria bisognerà affidarsi alle informazioni messe a disposizione da parte del governo d’oltremanica [qui il link].
Il biologico
Dal gennaio 2022 il vino europeo, compreso quello BIO, dovrà essere sottoposto a certificato di importazione, meglio noto come modello VI-1, a test di laboratorio svolti in base ai metodi dell’International Organisation of Vine and Wine (OIV) e ad altri aggravi burocratici. L’attuale legislazione europea in materia BIO verrà riconosciuta in termini di equivalenza fino al dicembre 2023 con l’eccezione, dal 1 gennaio 2022, della richiesta ai produttori biologici europei di presentazione di un certificato di ispezione (Certificate Of Inspection).
Etichettatura
Il nuovo quadro normativo in tema di informazioni, dal 30 settembre 2022, comporterà per i produttori importanti adattamenti. Da tale data, infatti, l’etichettatura dei vini dovrà essere modificata in quanto sarà previsto l’obbligo di indicazione del nome e indirizzo dell’importatore o imbottigliatore che opera nel Regno Unito, analogamente a quanto avviene nel mercato degli USA. Tra le informazioni obbligatorie si segnalano l’indicazione del lotto del prodotto in modo “facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile” e l’indicazione degli allergeni con la dicitura “contains”. Nell’individuazione degli allergeni sarà però possibile omettere quelli utilizzati nella produzione del vino ma non presenti nel prodotto finito.
L’accordo Brexit riserva a titolo di facoltativo ad entrambe parti la possibilità di richiesta all’operatore di indicare una data di durata minima sui prodotti che, a causa dell’aggiunta di ingredienti deperibili potrebbero avere un termine minimo di conservazione più breve di quello normalmente atteso dal consumatore. Si inserisce tra le indicazioni facoltative il pittogramma dedicato al divieto di bere rivolto alle donne in gravidanza che potrà essere sostituito anche con la seguente dicitura “È più sicuro non bere alcolici durante la gravidanza”. È parimenti consigliata, e dunque non obbligatoria, l’adozione di formule che scoraggino il consumo irresponsabile o il consumo di alcol da parte di minorenni.
In ragione dei soprariportati cambiamenti nel regime di etichettatura, le imprese sono chiamate a valutare sin da ora come meglio implementare l’assetto informativo per i prodotti destinati a questo ‘nuovo’ mercato extra-UE. Al fine di ammortizzare eventuali costi di rietichettatura dei prodotti, gli operatori, prima dell’immissione in commercio sul territorio inglese, potranno usufrire della possibilità di apposizione delle nuove indicazioni obbligatorie attraverso etichettatura supplementare apposta al contenitore del vino.
Indicazioni geografiche
Gli effetti dell’uscita del Regno Unito coinvolgono anche le Indicazioni Geografiche (DOP, IGP e STG). I produttori che abbiano presentato domanda di riconoscimento di una IG in sede europea dopo il 31 dicembre 2020 non avranno alcuna protezione in UK. Di conseguenza, gli operatori interessati dovranno presentare autonoma domanda di protezione nazionale nel Regno Unito. In questo caso andranno soppesati pro e contro della richiesta di registrazione di una IG anche nel regime britannico, in funzione della maggiore garanzia di tutela che questa comporta. Infine, i simboli tradizionali europei registrati in data antecedente al dicembre 2020 potranno continuare a essere utilizzati anche in UK, ma dal 1 gennaio 2024 tali simboli dovranno essere accompagnati dai nuovi riconoscimenti nazionali del Regno Unito. Ciò che emerge da questo modello è uno scenario estremamente complesso e non privo di zone d’ombra. Si tratta in ogni caso di un ambito da tenere sotto stretta osservazione: alla luce dei recenti slittamenti temporali di diverse applicazioni normative e degli effetti distorsivi legati all’attuale crisi economico-sanitaria. Un’attenzione particolare dovrà porsi all’evoluzione delle trattative sulla revisione degli accordi raggiunti con il Regno Unito. Come dichiarato dall’ambasciatrice britannica in Italia, Jill Morris, è in corso una dialettica su più fronti con l’Italia volta alla conclusione di un Accordo Bilaterale di Cooperazione tra l’Italia e il Regno Unito entro la fine di quest’anno.
(* Withers Studio Legale)