( di Simone Alessandro Cassago) Tutti quanti gli Italiani, da tempo ormai, sanno di avere una spada di Damocle sulla propria testa: Il debito pubblico. Ma perché il debito pubblico è cresciuto in maniera così considerevole arrivando a superare negli ultimi il valore di 2.400 miliardi di Euro ? (considerando una popolazione di circa 60 milioni di abitanti, si traduce in 40.000 Euro circa, accollato ad ogni abitante). Analizziamo per un momento il grafico in questa pagina, riepilogando i punti salienti nell’andamento del debito pubblico dal 1960 quando L’Italia era in pieno boom economico post bellico e la ricchezza cresceva a ritmi sostenuti rimanendo pienamente allineata al debito pubblico per tutto il decennio. Ma nell’ottobre del 1973, scoppiò il terzo conflitto Arabo Palestinese contro lo stato di Israele noto anche come “guerra dello Yom Kippur”: un blitz arabo contro gli israeliani proprio durante la “giornata dell’espiazione” della tradizione ebraica. La guerra terminò con una sorta di pareggio fra i due contendenti, grazie anche all’aiuto militare Americano, inviato all’alleato Israeliano, ma la conseguenza per le economie di mezzo mondo fu che l’OPEC, il cartello rappresentante tutti i più importanti produttori di petrolio (in primis i paesi arabi), serrò le fila dichiarando un embargo petrolifero verso tutti i paesi alleati degli USA.  L’Italia, e come lei molti altri paesi, si trovò di fronte ad una congiuntura economica che costrinse i governi di allora ad allargare i cordini della borsa ed emettere più debito pubblico per sostenere l’economia nazionale.

Il tutto perdurò fino al 1979 -80, mantenendo comunque una piena sostenibilità del deficit pubblico.

Guardando ancora più attentamente il grafico si nota che la curva del debito pubblico, tra il 1981 e 1982, fa un balzo repentino in aumento costante da allora fino ad oggi; si è parlato molto di sprechi e debito usare per eccessivo esistenzialismo. Ma è vero in parte. Una causa fatale per l’aumento del deficit pubblico fu il cosiddetto “divorzio” fra il Ministero del Tesoro, deputato ad emettere titoli del debito pubblico e la Banca D’Italia avvenuto il 12 febbraio 1981. Con un semplice scambio di lettere fra il Governatore della Banca d’Italia di allora, Carlo Azeglio Ciampi e il ministro del tesoro Beniamino Andreatta, senza alcun passaggio parlamentare, si decise che Bankitalia non sarebbe stata più disposta ad acquistare i titoli di stato che non venivano interamente collocati sul mercato; va da sé che per invogliare risparmiatori e investitori si dovette decidere di collocare le rimanenze, che crebbero sempre più, a tassi molto più elevati per rendere i titoli più appetibili e mantenere  le aste di collocamento in un fisiologico prosecuo senza scossoni.

Lo scossone ci fu perché a luglio del 1991, arrivando ad un rapporto deficit/ PIL di quasi il 120%, le agenzie di rating cominciarono a mettere in discussione la solvibilità della finanza nostrana. declassandoci dai gradini più altini del podio (la cosiddetta tripla A) fino ad arrivare ai giorni nostri, nella media, ad una tripla B di valutazione, il limite dell’investment grade.

Durante tutti gli anni ‘90 grazie alle svalutazioni della lira, che favorirono molto le esportazioni, il PIL riuscì a reggere l’urto fino al 2001 – 2002, ovvero quando entrammo nel sistema monetario unico, stabilito dai trattati di Maastricht, che diede vita all’embrione dell’Unione Europea, e venne adottato L’EURO come moneta unica di riferimento, il cui concambio con la nostra svalutata lira fu capestre. Ma nei giochi di forza di allora non si poteva fare altro.

In questi venti anni di decrescita , come ha ammesso anche il Premier Draghi alla conferenza stampa di presentazione del Recovery Plan, piano di recupero della crescita ormai emergenziale visto i danni che la pandemia da COVID ha lasciato sulle nostre spalle da ben 18 mesi, si potrebbe anche dare colpa a cattive scelte politiche, sparando a zero verrebbe spontaneo. Quello che ci ha bloccati, più che altro, è stato il vincolo (forse un po’ troppo restrittivo e da rivedere) del rapporto deficit/PIL al 3%; a noi, causa l’elevato debito pubblico, l’Europa non ha mai concesso sforamenti, portandoci alla sensazione di paese “sorvegliato speciale”, mentre ad altri paesi più “virtuosi” è stata concessa più elasticità.

Attualmente, causa pandemia, i vincoli sono saltati per tutti e, ora, con la campagna vaccinale arrivata a pieno regime, si può guardare con più fiducia al futuro in termina di ripresa e rinascita, ci si augura, economica, unendo al previsto aumento del PIL (già stimato per quest’anno in risalita al 4,2%), grazoe anche agli aiuti del Recovery Fund.