(di Paolo Danieli) Ho letto l’intervento di Giorgio Pasetto, autorevole esponente dell’area liberal che approva gli inginocchiamenti anti-razzisti negli stadi. Sport e politica secondo lui non si possono scindere. E quindi è giusto utilizzare un evento come i campionati europei di calcio e le Olimpiadi. E a sostegno della sua tesi si richiama allo spirito olimpico nella Grecia antica.
Ma si dà la zappa sui piedi. Dimentica che quando c’erano le Olimpiadi le polis in conflitto sospendevano le guerre e i loro atleti gareggiavano mettendo da parte ogni contrasto politico, dimostrazione che lo spirito olimpico, quintessenza dello sport, prevede che sport e politica siano separati. Che poi nelle Olimpiadi moderne qualcuno le abbia strumentalizzate come palcoscenico per fare propaganda politica è l’eccezione che conferma la regola. La strumentalizzazione più famosa avvenne nel 1968, in Messico, quando i due atleti neri Tommie Smith e John Carlos sul podio della premiazione salutarono a pugno chiuso guantato di nero, simbolo delle Black Panthers, un movimento violento che lottava in difesa dei diritti degli afro-americani negli Usa. Ma non fu un gesto apprezzato, perché cozzava con lo spirito olimpico. Come fu una violazione ed uno strappo profondo il doppio boicottaggio delle Olimpiadi di Los Angeles e quelle successive di Mosca che non cambiarono di una virgola la contrapposizione fra Occidente e Urss, ma ampliarono invece lo scontro sul terreno.
Nemmeno Hitler – visto che Pasetto lo cita- violò lo spirito olimpico andando a stringere la mano all’atleta afro-americano Jessie Owens, vincitore di quattro medaglie d’oro. Questa vittoria viene tutt’oggi sbandierata come una vittoria della libertà sul razzismo, dimenticando che allora negli Stati Uniti era in vigore la piena segregazione razziale.
La campagna “black lives matter” contro il razzismo è nata in Usa, legata a dei soprusi della polizia nei confronti della comunità afro-americana. Ogni essere umano ha diritto al rispetto ed alla giustizia a prescindere dalla razza, dalla nazionalità o dalla religione. Su questo non ci piove. Ma in Italia il problema è esattamente l’opposto. Il più delle volte sono gli italiani vittime delle violenze degli stranieri. Oppure ci sono casi come quello di Saman, la povera ragazza pakistana assassinata dai propri famigliari perché voleva integrarsi. E qui sì che c’è da inginocchiarsi. Ma per cercare il suo cadavere, come stanno facendo da giorni i Carabinieri.