Sono passati 1350  giorni da quando con il referendum del 22 ottobre 2017 il 98,8% dei veneti si è espresso in favore del’Autonomia. I governi che si sono succeduti (Renzi, Conte uno, Conte due) non hanno fatto nulla. Non hanno dato seguito all’indicazione chiara e netta proveniente da una delle regioni più importanti d’Italia, locomotiva economica del paese. Hanno continuato a ignorarla come avviene da trent’anni. Non che la cosa meravigli. Ce lo aspettavamo tutti, a cominciare da Zaia, che non è né un ingenuo né di primo pelo. Magari ci si sarebbe aspettato qualcosa durante lo sciagurato governo giallo-verde: si sperava che la presenza della Lega nell’esecutivo potesse sbloccare qualcosa. Invece niente. Siamo ancora al punto di partenza.

Forse adesso però qualcosa si muove. La Gelmini, ministro per gli Affari Regionali, che culturalmente non è ostile all’Autonomia come il suo predecessore del Pd Boccia, sta riprendendo in mano la questione. Passata l’emergenza Covid, che ha tenuto fermo tutto, a metà luglio relazionerà nella Commissione Bicamerale in quanto s’è detta convinta che la richiesta di Autonomia presentata non solo dal Veneto, ma anche dalla Lombardia e dall’Emilia-Romagna, non possa rimanere senza una risposta. Un fatto positivo. Per carità., niente illusioni, ma almeno stavolta è un membro autorevole del governo che riprende in mano l’iniziativa. Il tema Autonomia, fra l’altro,s’era imposto comunque nel dibattito politico durante la pandemia. La spaventosa inefficienza di certe regioni a fronte dell’efficienza di altre aveva introdotto la proposta demenziale di accentare tutto a Roma e annullare anche l’autonomia in materia di sanità, che è che ha fatto sì che il Veneto sia stato apprezzato per la gestione dell’emergenza. Prima che alzino di nuovo la testa i sostenitori di questo centralismo becero e pericoloso è meglio accelerare.