Sono passati 29 anni da quel 19 luglio che a Palermo, in via D’Amelio, venne assassinato il giudice Paolo Borsellino con una bomba applicata alla sua auto. Con lui persero la vita anche i poliziotti che gli facevano da scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una strage voluta, organizzata ed eseguita dalla Mafia per colpire, dopo che qualche settimana prima aveva assassinato il giudice Giovanni Falcone, l’altro magistrato considerato nemico giurato da Cosa Nostra.
Borsellino era di destra, Falcone di sinistra, ma entrambi erano due persone oneste, che si erano messe a disposizione dello Stato per colpire la Mafia, che specialmente in quegli anni aveva cercatori infiltrarsi nei suoi apparati. Questo l’avevano capito sia Falcone che Borsellino e forse proprio per questo sono stati fatti fuori. Salvatore Riina è stato condannato per essere stato il capo della strategia stragista, ma rimangono ancora molti dubbi su modalità e complicità della strage. Soprattutto non é stato mai chiarito che fine abbia fatto la famosa “agenda rossa” sulla quale Borsellino annotava tutti i suoi appunti riguardanti le indagini. Non è mai stata trovata. Eppure quella mattina del 19 luglio 1992 l’aveva con sé. Pare che qualcuno, giunto tempestivamente sul luogo della strage appena effettuata, abbia provveduto a farla sparire e a metterla “al sicuro”. In modo che certi fatti e certi nomi non si venissero mai a sapere. Un altro dei tanti misteri della storia della Prima Repubblica che proprio in quegli anni concludeva la sua parabola storica.