Il Comitato di Garanzia del Coni ha respinto il ricorso del Chievo contro l’esclusione dal campionato di serie B. Il Chievo, se vorrà, dovrà ricominciare o dalla serie D o addirittura dai dilettanti. Cioè da zero. Ma questa è tutta un’altra storia.
Quella del Chievo, che più che una storia è stata una favola, quella della squadra di un piccolo quartiere di una città che da sola, con i propri mezzi era riuscita a scalare tutti i livelli dei campionati fino ad arrivare e rimanere inserire A per 19 anni con risultati brillantissimi è finita. Ed è finita male. Soprattutto perché non è finita sul campo, ma negli uffici, fra le carte bollate del calcio burocratico. Le prime avvisaglie che qualcosa non andava per il verso giusto nell’amministrazione della società di via Galvani s’era visto già tre anni fa, con la vicenda delle plusvalenze che aveva portato ad una penalizzazione, pagata poi con la retrocessione. Poi però, invece di cambiare qualcosa, le cose sono andate di male in peggio. Sia sul campo che a livello amministrativo. Sul campo perché la squadra non era più riuscita a risalire in A. A livello amministrativo perché i responsabili qualche errore devono averlo pur fatto se il Chievo è arrivato a questo punto. Tre livelli di giudizio sono tanti per poter ipotizzare una persecuzione. Probabilmente ci sarà stata anche una scarsa capacità di tessere quelle relazioni che sono utili in tutti i campi per navigare tranquilli. Ma evidentemente degli errori, e anche gravi, saranno pur stati fatti. E qui è il presidente il responsabile. Onori e oneri. Grandi i meriti che ha avuto Campedelli nel costruire la favola. Gravi le responsabilità nel momento in cui è finita. Ma anche le fini hanno un inizio. E come abbiamo già detto l’inizio della fine è stato essersi lasciati scappare Giovanni Sartori, il vero artefice del miracolo Chievo. E’ stato questo, prima ancora delle vicende amministrative, il grave errore. Adesso, alzando gli occhi al cielo, di mussi volanti non ne vedremo più.