(di Giorgio Massignan) La pianificazione di una città come Verona, dovrebbe comprendere anche l’opzione relativa alla demolizione delle strutture edilizie inutilizzate e impattanti sull’ambiente e sul paesaggio.  Nei decenni scorsi, l’equilibrio urbanistico e l’estetica del paesaggio sono stati pesantemente intaccati dalle troppe e non necessarie  costruzioni, spesso volute  dalla speculazione edilizia.  L’eccessivo consumo di suolo, ha privato il territorio di una risorsa ambientale primaria, cementificando e impermeabilizzando  ettari di verde.

Verona, da un rapporto Ispra sul consumo di suolo, nel 2019 è stata la città italiana con il maggior numero di ettari consumati e nel 2020 ne ha sciupato 166 ettari in più rispetto al 2019; inoltre, ha una percentuale di verde urbano inferiore al 5% e di zone protette fra le più basse in assoluto. Durante le due amministrazioni del sindaco Tosi, la pianificazione territoriale presentava un carico eccessivo di volumi da edificare  che, se realizzati, avrebbero provocato un vero e proprio caos urbanistico.  La nuova Giunta, con la rivisitazione della Variante 23, ha ridimensionato le aree edificabili, togliendo quasi 16.000 mq di costruito rispetto alla precedente Variante. E’ stata  attuata una riduzione del 13 % del perimetro urbano in cui è possibile autorizzare nuovi centri commerciali, in attuazione alla normativa regionale di pianificazione delle aree destinate a strutture di vendita. Ma non è ancora sufficiente. 

Con la recente Variante 29, coordinata dall’assessore Ilaria Segala, i nuovi futuri cantieri si concentrano sulle cosiddette aree dismesse, su terreni  già costruiti,  su cui è possibile intervenire con progetti di riqualificazione e di rigenerazione urbana.  E’ stata presentata come lo strumento in grado di dare un forte slancio alla città e,  secondo i nostri amministratori, dovrebbe dettare le linee di sviluppo del territorio fino al 2030. Su circa 189 manifestazione d’interesse presentate, sono state definite  50 schede che, come in tutte le altre occasioni, sono state ispirate dagli investitori privati.   E’ indubbio che la riqualificazione fisica e funzionale dei luoghi abbandonati e degradati sia opportuna, ma nutro non pochi dubbi sulle destinazioni d’uso.  Ma, soprattutto, ritengo sia necessario chiedersi se il nostro territorio ha bisogno di altri volumi, o invece di recuperare spazi verdi e vuoti urbani. 

In Italia  ci sono oltre 31 milioni di abitazioni e di queste,  circa 7 milioni sono vuote o abbandonate; nel solo comune di Verona sono oltre 10.000, eppure si continua a costruire.  Il settore economico dell’edilizia, non può basarsi ancora sulle nuove costruzioni, consumando ampie porzioni di territorio ancora verde. Si può e si deve rinnovare, specializzandosi nel recupero e nella riqualificazione degli stabili e dei comparti dismessi e fatiscenti, ma anche nella bonifica dei terreni liberati da strutture inutili e obsolete, senza recuperarne la volumetria, ma realizzando zone verdi.  Coloro che ci  amministrano e pianificano il territorio, dovrebbero prevedere la demolizione di edifici e intere parti urbane inutilizzate e  impattanti negativamente sul paesaggio, per recuperare spazi verdi e liberare il suolo dalle eccessive  cementificazioni del passato. 

Non è più sufficiente bloccare il consumo del suolo, è necessario recuperare aree verdi, liberandole dal cemento e riportandole alla loro origine naturale.   Le obiezioni più ovvie riguardano la mancanza di una base legislativa e l’impossibilità di espropriare gli edifici, seppur cadenti e inutilizzati, ai legittimi proprietari. Rispondo che, purtroppo, questi ostacoli esistono e bloccano l’intero meccanismo di riqualificazione paesaggistica e ambientale; ma sostengo che non si è mai fatto nulla per limitare gli investimenti privati nella realizzazione di nuovi volumi, molto spesso non necessari, e per creare le condizione che favorissero gli interventi nella bonifica e riqualificazione ambientale del territorio. Questi ultimi sono certamente meno redditizi, ma molto più utili per la collettività e per il riequilibrio ambientale.   Ragionando con la logica della riqualificazione del paesaggio e sulle reali necessità del territorio, mi chiedo: è proprio necessario costruire i Magazzini della Cultura, a poca distanza dall’Adige, proprio di fronte al forte Santa Catrerina al Pestrino? Concedere la proroga alla lottizzazione Borgo degli Ulivi, in località Monsel di Quinzano? Lasciare che, come una spada di Damocle, incomba l’assurda lottizzazione al Nassar di Parona, in una delle ultime aree agricole a ridosso dell’Adige, in una zona di esondazione? Permettere che si costruiscano torri e stecche edilizie in quello che doveva diventare il parco urbano allo Scalo Merci della Ferrovia? E, a cosa servono le migliaia di mq che la Variante 29 destina al residenziale, al ricettivo-alberghiero, al turistico, al commerciale, al terziario e al direzionale. 

Verona non ha bisogno di ampliare le cubature di questi settori urbanistici, ma di realizzare ampi spazi verdi, un sistema della mobilità efficiente, ecologico e a basso impatto ambientale e un sistema culturale-museale all’altezza del valore storico della nostra città. Per ottenere tutto questo, oltre alle carenze nelle legislazioni statale e regionale, sembra manchi anche la volontà politica degli amministratori locali.