E’ stato uno dei protagonisti veronesi della 2^ Repubblica. Militante storico del Msi, vice-sindaco, segretario provinciale di Alleanza Nazionale, Luca Bajona s’è ritirato a vita privata quindic’anni fa. Medico, 60 anni, sposato, continua a fare l’oculista, a tifare Hellas e ad amare la buona cucina. Ma con la politica ha chiuso. Troppe delusioni. Soprattutto a livello umano. Rimangono ovviamente le idee, che un uomo tutto d’un pezzo come lui non ha mai cambiato. E le amicizie che si sono cementate negli anni del suo impegno politico. Anni né facili né tranquilli. Nell’ambiente della destra veronese Luca Bajona continua ad essere un esempio per molti per la sua serietà, per il suo impegno e la sua onestà. 

Sono 15 anni che Luca Bajona non parla. Molti di quelli che hanno avuto occasione di collaborare con lei sia a livello politico che amministrativo si chiedono il perché del suo silenzio. Ce lo può spiegare?
«Non avendo più un ruolo politico attivo – risponde Bajona- semplicemente non ho più avuto occasione di far sentire la mia voce, e, devo aggiungere onestamente, vedendo ciò che sta capitando soprattutto nel campo dei cosiddetti “diritti” della persona, forse è meglio che mi taccia.»

Lei assieme a Nicola Pasetto è stato uno dei leader di quel gruppo di giovani missini che ha costituito il nucleo storico da cui è scaturita gran parte della classe dirigente veronese. Dal “covo” di via Macello a Palazzo Madama, a Montecitorio a palazzo Barbieri. Che cos’è stato, un miracolo?
«E’ stata una fortuita coincidenza temporale. Dal 1975 hanno iniziato a frequentare la sezione del MSI di via S. Pietro Incarnario molti ragazzi di spessore – ricorda Bajona- che si sono incontrati con quelli di qualche anno più grandi, ed insieme hanno formato un gruppo formidabile, soprattutto perché molto legato prima di tutto sotto il profilo umano. Ci si completava anche grazie alle proprie specificità: c’era chi era più portato all’organizzazione, chi alla teoria politica, chi aveva inclinazioni artistiche. Grazie soprattutto a Nicola, a Paolo Danieli e a Paolo Scaravelli sono nate una radio, un gruppo musicale che ancora oggi viene ricordato nell’ambiente a livello nazionale, un giornale gratuito inviato a migliaia di simpatizzanti. Questo molto prima che si arrivasse ad esprimere rappresentati nelle varie istituzioni.»

Qual è la differenza fra la destra di allora e quella di adesso?
«La destra di allora era soprattutto ideale, il bisogno di testimoniare una propria visione del mondo. Quella di oggi è una destra che si è dovuta “sporcare” con la politica più reale, quella che riguarda il governo e l’amministrazione della cosa pubblica. E, purtroppo, troppo spesso, nella quotidianità, le donne e gli uomini di destra, anche quelli che provenivano dall’esperienza di quegli anni, hanno lasciato per strada le istanze ideali da cui erano partiti.»

C’è una formazione politica in cui si riconosce oggi?
«No. Voto in modo fluido. Di Salvini, per esempio, ho apprezzato la coerenza. Quando è andato al governo ha fatto esattamente ciò che aveva promesso di fare. Per un politico un comportamento più unico che raro. Mi piaceva la freschezza della prima Casa Pound; ora mi sembra che si sia un po’ persa anche in piccoli giochi di “potere”. Ultimamente apprezzo molte delle cose che dice il comunista Marco Rizzo. Ma non arriverei a votarlo.»

Da 15 anni Verona è sostanzialmente governata dal centrodestra: ci fa un bilancio, a suo giudizio, di questo periodo? dove Verona è cresciuta e dove, invece, è rimasta indietro?
«Temo che Verona sia ferma da lustri. L’ultima grande scelta, Ca’ del Bue,  è stata sbagliata e da lì in poi non ne è stata più azzeccata una. Ma non è solo colpa della politica. Verona ha una classe dirigente in generale non all’altezza, sia nel campo produttivo, che in quello finanziario. E’ una città che pensa che per andare avanti basti non toccare nulla perché si va avanti benissimo per inerzia grazie ad alcune eccellenze che ci sono state consegnate (l’ente lirico e la Fiera su tutte ). Ma la realtà è che anno dopo anno perdiamo pezzetti di autonomia e capacità attrattiva.»

In molte città che vanno al voto è stato difficile trovare candidati davvero disponibili: perché fare il sindaco e l’amministratore locale oggi sembra avere meno fascino di un tempo?
«Perché si rischia molto. Ogni scelta è passata sotto la lente della magistratura. Parlo delle scelte politiche lecite, non degli intrallazzi, ovviamente. Si può essere indagati perché aumenta l’inquinamento, tanto per fare un esempio pratico. O perché si ordina lo sgombero di un campo nomadi.»

Lei è ricordato per aver organizzato come assessore alla cultura numerose serate in cui i migliori chef delle cucine regionali cucinavano le loro specialità nei ristoranti di Verona, anticipando quella che sarebbe in seguito diventata un’acquisizione generale: che l’eno-gastronomia è un’espressione culturale. E’ stato un antesignano. Come spiega che invece adesso non è più stato fatto niente di simile?
«Quella rassegna della cucina “regionale” italiana ebbe un grande successo. Oggi invece girando per le città italiane è sempre più difficile trovare ristoranti che propongono la cucina del territorio, ed è un vero peccato perché la diversità è una peculiarità tutta italiana, ed è forse una delle nostre maggiori ricchezze.»

Lei è un tifoso dell’Hellas. Quali sono secondo lei le ragioni per le quali nessun veronese si fa carico della squadra più amata della città?
«Entrare nel mondo del calcio spaventa gli imprenditori in genere e i veronesi, che sono molto oculati, in particolare. Non me la sento di biasimarli oggi. C’è stato un momento in cui ero un po’ arrabbiato per questa situazione, quando pareva che la Verona “perbene” avesse fatto una scelta di campo diversa. Ma il tempo è galantuomo, e non aggiungo altro.»