Il Papa fa il Papa, si sa. E deve avere una buona parola per tutti. D’altra parte, siamo o non siamo tutti fratelli? E poi, il Papa si chiama anche Francesco. Come il santo che chiamava “fratello” il sole e “sorella” la luna e considerava fratello alche il lupo di Gubbio che voleva mangiarlo, i passeri e tutti gli esseri del creato. Quindi come meravigliarsi se rivolgendosi ai Rom durante il suo viaggio in Slovacchia il Pontefice ha detto “Sì, la Chiesa è casa, è casa vostra. Perciò, vorrei dirvi con il cuore, siete benvenuti, sentitevi sempre di casa nella Chiesa e non abbiate mai paura di abitarci. Nessuno tenga fuori voi o qualcun altro dalla Chiesa!”
“Cari fratelli e sorelle,- ha continuato- troppe volte siete stati oggetto di preconcetti e di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole e gesti diffamatori.”
“Giudizi e pregiudizi aumentano solo le distanze – ha detto -. Contrasti e parole forti non aiutano. Ghettizzare le persone non risolve nulla. Quando si alimenta la chiusura prima o poi divampa la rabbia. La via per una convivenza pacifica è l’integrazione”.
Papa Francesco ha fatto la sua parte. Magari s’è lasciato prendere un po’ la mano quando ha parlato di “stereotipi discriminatori” e di “pregiudizi”. Se in tutto il mondo gli zingari si sono fatti la fama di avere comportamenti non propriamente consoni agli usi e costumi delle società in cui si sono introdotti qualche buona ragione pure ci sarà. Un vecchio detto veneto recita: “non se dise vaca mora se almanacco un pel nero non la g’à”. Santità, non si faccia prendere la mano dal ruolo! Anche perché, sia i suoi amati Rom, sia altri immigrati, se si presentassero all’ingresso dello Stato del Vaticano, non solo non li farebbero entrare, ma rischierebbero di farsi pungere il culo dalle alabarde delle Guardie Svizzere nella loro meravigliosa uniforme michelangiolesca.