(di Nicola Fiorini*) Oggi racconto una storia che a me sembra di un certo interesse, anche al di là della vicenda specifica. E’ in primo luogo la storia di una curiosa dissociazione tra realtà e percezione, che sarebbe anche divertente se non fosse costata (e non costasse) decine di milioni di euro a noi contribuenti. E’ al tempo stesso la storia di controllori che pendono dalle labbra dei controllati, di repentini cambiamenti di rotta fatti senza alcuna spiegazione, di persone che sbagliano e fanno danni ingenti ma che non pagano dazio, di confusione, superficialità, rappresentazioni strumentali. Insomma, una storia per niente edificante. Attenzione tuttavia: qui non si discute se l’Aeroporto vada bene o male, se sia gestito bene o male, se SAVE sia “buona” o “cattiva”. Non sono un esperto di economia e management delle aziende aeroportuali e, di regola, cerco di parlare delle cose che conosco e ho studiato. E tuttavia, come dicevo in esordio, credo che la storia della privatizzazione di fatto del Catullo, perché di questo si tratta, meriti di essere raccontata.
Prima di venire ai protagonisti e ai loro comportamenti, dobbiamo inquadrare la situazione, i suoi dati di fatto. Alcuni sono inevitabilmente tecnici ma cercherò di ridurli al minimo.
L’Aeroporto di Verona, nonché quello di Brescia, sono gestiti da una società che si chiama Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca SpA. Il Socio più importante si chiama Save SpA, una società (privata) che gestisce anche gli aeroporti di Venezia e Treviso. Save possiede poco meno del 42%, quindi non ha la maggioranza assoluta. Il resto del capitale sociale appartiene ad un folto gruppo di soggetti, quasi tutti enti pubblici. I quattro principali Soci, per l’appunto enti pubblici, sono: (i) la CCIAA di Verona con il 18,2%; (ii) la Provincia di Trento con il 14,2%; (iii) la Provincia di Verona con il 9,7% e (iv) il Comune di Verona con il 4,7%. Fino a poche settimane fa questi enti non erano soci diretti del Catullo ma soci indiretti. Infatti, avevano conferito le loro azioni nel Catullo in una società comune che si chiamava Aerogest. Quindi Aerogest, cumulando le azioni dei suoi 4 soci, aveva una quota del Catullo pari a circa il 47% e quindi una partecipazione non di maggioranza assoluta ma comunque più “grossa” di quella di Save.
A questo punto sorgono spontanee un paio di domande. Perché i quattro principali soci pubblici avevano sentito il bisogno di riunirsi in Aerogest ? E perché adesso Aerogest è stata sciolta ?
Per rispondere a queste domande bisogna fare un passo indietro e tornare al 2014. L’Aeroporto, o meglio la società che lo gestisce, è sull’orlo del fallimento. Sarebbe troppo lungo spiegare le ragioni di questo stato di decozione. Il dato di fatto è che i soci pubblici non possono e/o non vogliono sborsare le somme ingenti che servono a ricapitalizzare la Società, che quindi ha bisogno di un salvatore, di un cavaliere bianco come si usa dire. Quello sarebbe stato il momento di privatizzare il Catullo in modo trasparente ed efficace, facendo una gara pubblica e cedendo all’investitore privato il 100% della Società. Questa ipotesi non venne presa nemmeno in lontana considerazione da chicchessia. D’altronde privatizzare è notoriamente una cosa orrenda sia per la destra che per la sinistra e quindi, vade retro, Satana.
Si preferì l’alternativa di un socio privato di minoranza, che ci mettesse i soldi e che al tempo stesso assicurasse quella gestione profittevole che i soci pubblici non erano stati in grado di realizzare. Anche questo soggetto avrebbe potuto e dovuto essere scelto tramite gara ma, subito dopo la privatizzazione, quello che più fa orrore al politico di destra e di sinistra è la gara. Vuoi mettere la soddisfazione di decidere in modo arbitrario e opaco chi deve vincere ? Vuoi mettere la soddisfazione di dividersi tra Guelfi e Ghibellini, tra fautori di Tizio e fautori di Caio, secondo logiche e ragionamenti che hanno a che fare con qualsiasi cosa tranne il merito della questione?
Quindi niente gara e scelta a favore di Save, gestore, come detto, di Venezia e Treviso, in nome del progetto del grande operatore aeroportuale del Nord – Est. No allo straniero, viva il coordinamento, viva le sinergie, il tutto a beneficio del mitico “Territorio”.
In altri termini, la scelta fu quella di una partnership tra pubblico e privato per gestire un’impresa. Ora, le partnership tra pubblico e privato sono da evitare per definizione. Come diceva Guido Carli molti anni fa e ad altri fini, si rischia di trovarsi a vivere al confine tra le due Germanie, quella dell’Est e quella dell’Ovest, cumulando i difetti del capitalismo e quelli del comunismo. Ma io sono un vecchio arnese liberista e quindi non bisogna starmi a sentire. Senonché l’esito anche di questa vicenda non sembra destinato a farmi cambiare opinione.
Quando si tratta di gestire una società dove non c’è un socio di maggioranza assoluta ci sono delle questioni da affrontare e degli strumenti consolidati per farlo. Il fatto che uno dei soci sia pubblico non cambia in modo apprezzabile la situazione. Bisogna, in buona sostanza, stabilire come viene gestite la società, come vengono prese le decisioni. Si tratta in altri termini di condividere la “governance”, perché le cose dette in inglese hanno tutto un altro sapore.
Sulla carta i soci pubblici fanno tutte le mosse giuste. Prima di tutto, si mettono assieme per fare fronte comune rispetto al socio privato. E qui rispondiamo alla prima delle domande che ci siamo fatti prima. Aerogest nasce come contenitore che raggruppa i quattro più importanti soci pubblici e si pone come interlocutore unico e coeso del socio privato. Si vuole impedire che Save possa fare la politica non dei due forni ma dei molti forni, facendo maggioranza ora con Tizio e ora con Caio.
Dopodiché Aerogest si mette d’accordo con Save, fa un contratto per stabilire le regole del gioco. Nel gergo del diritto societario questi contratti si chiamano patti parasociali. Perché “para” sociali? Perché stanno “accanto” al contratto sociale, si affiancano al contratto sociale che è quello che viene stipulato alla costituzione delle società e che comprende lo Statuto. In altre parole, con i patti parasociali alcuni soci si mettono d’accordo su come votare nell’assemblea della società e su altri aspetti della gestione. In teoria, la Società può anche essere all’oscuro di questo tipo di accordi se non è una società quotata. A scanso di equivoci, i patti parasociali sono perfettamente leciti. L’unico limite è che non possono durare più di 5 anni.
Dunque Aerogest e Save sottoscrivono un Patto Parasociale che appunto dura 5 anni. Che cosa c’è scritto in questo Patto? In teoria non dovremmo saperlo. Questi contratti nascono tipicamente per rimanere riservati. E mi risulta che quest’obbligo di riservatezza sia previsto anche nel Patto del Catullo. E già questo non è bello; quando parti del Patto sono enti pubblici, come faccio a giudicare chi mi governa se non posso sapere che cosa fa? Dopo di che, all’atto pratico, il contenuto del Patto è il classico segreto di Pulcinella. Non perché ci siano state fughe di notizie, o magari ci saranno anche state ma non sono quelle a fare la differenza. Vari esponenti dei soci pubblici hanno fatto tante e tali dichiarazioni alla stampa, piuttosto che nelle audizioni delle commissioni consiliari, da farci sapere quasi tutto. E dunque sappiamo che l’accordo prevedeva:
1) un CdA di 9 persone, di cui 5 di Aerogest e 4 di Save;
2) un Presidente scelto tra gli amministratori di espressione Aerogest e un Amministratore delegato tra quelli di espressione Save;
3) le deliberazioni del Consiglio d’amministrazione sulle materie rilevanti richiedono maggioranze rafforzate, di modo che Save non possa mai essere messa in minoranza;
4) le deliberazioni rilevanti dell’assemblea devono essere prese con la maggioranza del 75% dei voti.
In sintesi, Save ha il diritto di veto e gestisce lo scalo, ma i soci pubblici hanno tutti gli strumenti per condizionarne fortemente l’azione. Perfetto, da manuale. Dopodiché, una cosa è l’architettura legale, un’altra cosa come viene concretamente vissuto e messo in pratica un contratto di durata e complesso come un contratto societario. In altre parole, puoi anche avere tutti i diritti di questo mondo ma, se non vuoi o non sai esercitarli, il contratto vale la carta si cui è scritto. Come vedremo poi, è accaduto esattamente questo. Ma andiamo con ordine.
Nell’ottobre del 2014 i soci pubblici pensano di aver risolto i loro problemi e comincia la gestione Save. Se vada bene o male io non lo so. Quello che so è che il Piano Industriale inizialmente condiviso va a pallino quasi subito e si realizza solo in minima parte. Magari per ottime ragioni, ma diciamo che un dibattito vagamente serio su questo punto non c’è mai stato. L’opinione pubblica veronese sembra essere per lo più fortemente critica. Secondo la vox populi il Catullo diventa “l’Aeroporto delle badanti”. Si dice che Save faccia gli interessi di Venezia e Treviso a scapito di quelli di Verona. Si assiste ad una forte polemica tra Save e la Fondazione Cariverona. Anche la maggior parte del mondo politico comincia a ribollire e le dichiarazioni critiche nei confronti di Save aumentano di frequenza e intensità. Tutto sembra indicare che si vada ad una resa dei conti tra soci pubblici e Save.
Come dicevamo, i Patti Parasociali durano 5 anni. Quindi quelli del Catullo scadono alla fine del 2019, ciò che offre una splendida opportunità per ridiscutere tutto. Vengono tuttavia concordate svariate proroghe tecniche, in particolare perché Aerogest è destinata ad una brutta fine e nessuno sa bene come gestire il rebus. Mi riferisco al fatto che, per legge, le società pubbliche in perdita per tre anni consecutivi vanno messe in liquidazione ed è il caso di Aerogest. Perché è vero che sulla carta il socio pubblico può agire con strumenti privatistici ma fino ad un certo punto (com’è giusto che sia).
Nel frattempo arriva il Covid ed è uno sconquasso totale. Gli aeroporti sono ovviamente uno dei settori più colpiti. Il fatturato crolla, si crea una perdita rovinosa, i debiti esplodono. E anche il 2021 non sarà molto migliore. Diventa necessario e urgente un altro aumento di capitale dopo quello del 2014. Oggi sappiamo che è stato deliberato un aumento di capitale di ben 35 milioni, pari al Patrimonio netto alla fine del 2020. Per le dimensioni del Catullo parliamo di un aumento monstre. Questo contribuisce a rendere ancora più incandescente il dibattito Save SI – Save NO.
E arriviamo ad una data fatidica (si fa per dire), quella dell’ 11 febbraio 2021. Riunione della Commissione bilancio del Comune di Verona. Sono schierati tutti i pezzi grossi: 1) Giuseppe Riello, Presidente di CCIAA di Verona e Amministratore Unico di Aerogest; 2) Achille Spinelli, assessore agli Enti partecipati della Provincia di Trento; 3) Manuel Scalzotto, Presidente della Provincia di Verona; 4) Stefano Bianchini, assessore alle partecipate del Comune di Verona. Insomma, tutti i soci di Aerogest rappresentati ai massimi livelli. Che cosa ci dicono questi Signori? Che Aerogest non ha alcuna intenzione di sottoscrivere l’aumento di capitale, di cui peraltro si riconosce la necessità. Quello che parla più chiaro è Riello. Ed è giusto che sia così: (i) è l’Amministratore unico di Aerogest e quindi si è di certo coordinato con gli altri soci prima di arrivare ad un appuntamento così importante e pubblico; 2) è il Presidente del socio pubblico più pesante, la Camera di Commercio di Verona. Il giudizio su Save è largamente positivo: forse si poteva fare di più, chi può dirlo, ma Save ha salvato l’aeroporto, ci ha messo un sacco di soldi e nel 2019 aveva riportato la società all’utile. Va benissimo, quindi, che Save acquisisca la maggioranza sottoscrivendo tutto l’aumento di capitale. I soci pubblici rimarranno comunque soci, sia pure con un peso minore, negoziando nuovi Patti Parasociali a tutela del mitico Territorio. Gli altri soci presenti confermano quanto detto da Riello.
Apriti cielo! Si scatena l’inferno. Verona non può svendere i gioielli di famiglia. L’aeroporto è un fondamentale volano di sviluppo. La maggioranza pubblica è essenziale. Particolarmente accesi su questo punto sono gli interventi del Sindaco Sboarina, che assimila la vicenda del Catullo a quella della Fiera e della Fondazione Arena di Verona per dire che il Comune farà la sua parte e che è imprescindibile che anche gli altri soci pubblici facciano la loro.
Per inciso, non ci dev’essere un grande dialogo tra il Sindaco e l’assessore Bianchini il quale in Commissione consiliare era perfettamente allineato a Riello. E Riello con chi aveva parlato prima di dichiarare ufficialmente che i soci pubblici non avrebbero partecipato all’aumento di capitale? Mistero. A questo punto l’ostilità già chiara di gran parte delle forze politiche di maggioranza diventa palese e gridata. Si parla apertamente di “cacciare” Save per trovare un diverso partner privato o di tornare tout court alla gestione pubblica.
Confindustria Verona la pensa in modo molto diverso. L’allora Presidente Michele Bauli durante una ulteriore audizione in Commissione consiliare (ce n’è una miriade in quei mesi) dichiara di non avere nulla in contrario a vedere Save in maggioranza; il giudizio su Save è positivo. Dopodiché, forse fiutando l’aria, conclude dicendo che l’intero sistema Verona (?) deve sottoscrivere l’aumento. Mah.
Io e Giorgio Pasetto interveniamo sulla stampa per dire che è vero il contrario: il Catullo non deve tornare pubblico e i soci pubblici non devono rimanere in società con quote di minoranza, a quel punto prive di qualunque valore. Se i soci pubblici non sono riusciti a condizionare Save quando avevano la maggioranza relativa, come pensano di riuscirci una volta in minoranza? L’unica soluzione possibile è quella di vendere la loro partecipazione, massimizzando il ricavato e determinando la formale e conclamata privatizzazione dell’Aeroporto. Ovviamente nessuno ci ha preso nella benché minima considerazione. Non che ci aspettassimo qualcosa di diverso.
Com’è finita lo sapete. Il Catullo ha deliberato un aumento di capitale di 35 milioni di euro che è stato sottoscritto da tutti i soci maggiori, compresi ovviamente i quattro soci pubblici ex Aerogest, che sono tornati ad essere soci diretti del Catullo dopo lo scioglimento di Aerogest.
Tutto è bene quel che finisce bene ? Non sembra. Questa vicenda si presta ad alcune considerazioni conclusive.
Prima considerazione: abbiamo assistito ad un dibattito per molti versi surreale. Il presupposto di tutto era che Save potesse essere “mandata via” come un inquilino a fine contratto. D’altronde, avrà pensato qualcuno che magari pensa di essere bravo, se i Patti scadono dopo 5 anni, io non sono forse libero di fare quello che voglio dopo la scadenza? Ad esempio, visto che ho il 47% e Save il 42%, perché non posso allearmi con altri enti pubblici e disporre del 51% dei voti, annullando il ruolo di Save? Si tratta di un clamoroso errore di fatto, di uno sfoggio di incompetenza madornale. Il Patto Parasociale dura 5 anni ma lo Statuto della Società dura fino a quando la Società è in vita. Era (ed è) elementare constatare, tramite un banale accesso al registro delle imprese che è pubblico e quasi gratuito, che tutti gli aspetti sostanziali del Patto erano stati trasferiti nello Statuto. Quindi, il fatto che il Patto scada è pressoché irrilevante. Save ha comunque il diritto di veto sulle delibere, sia di Consiglio d’amministrazione che di assemblea e ha altresì diritto a nominare l’A.D. Ed è così dal 2014. Non è stato un blitz perpetrato nottetempo col favore delle tenebre, era una cosa prevista espressamente e con grande chiarezza nel Patto stesso. Amici cari, Save non è selvaggina di passo, Save è qui per restare. Il Catullo è stato sostanzialmente privatizzato nel 2014 e la politica veronese non se ne è neanche accorta. E’ questo quello a cui alludevo parlando di dissociazione tra realtà e percezione.
Il problema è che per fare decorosamente l’amministratore pubblico sarebbero necessari due requisiti apparentemente elementari: 1) leggersi bene le carte – e già qui casca l’asino nella stragrande maggioranza dei casi; 2) capire quello che si legge (o farselo spiegare da chi ne capisce) – e qui siamo alla strage.
Che il ruolo di Save sia in qualche modo nelle mani della politica è ancora un articolo di fede non scalfito dal dubbio. Non più tardi di lunedì scorso in un’intervista a L’Arena, l’on. Vito Comencini, che tra l’altro è anche consigliere comunale, ha dichiarato: “io non escludo di aprire anche ad altri investitori privati, stranieri magari, guardando al centro e nord Europa.” Ma Save sarà d’accordo, mi domando io? E chi se ne frega, risponde idealmente lui. E’ chiaro che l’on. Comencini vive in un mondo tutto suo.
Seconda considerazione. Il cambiamento radicale di posizione dei soci pubblici tra “no, non sottoscrivo” e “si, sottoscrivo in toto” come si spiega (se si spiega)? Nessuno ha nemmeno tentato di farlo. Vi sembra un comportamento credibile? Come prendono le decisioni questi Signori? Come gestiscono i soldi pubblici, visto che hanno appena scucito oltre 16 milioni di euro?
Terza considerazione. Come hanno interpretato in questi anni il loro ruolo i soci pubblici? Lo hanno interpretato … abdicando al loro ruolo. Come dicevo prima, non basta avere dei diritti, bisogna anche volerli e saperli esercitare. Un fatto, eclatante, che da solo è in grado di dimostrare quanto appena affermato. Nei Patti Parasociali l’A.D. doveva essere scelto tra gli amministratori espressi da Save. Ma c’è dell’altro. Era previsto che l’A.D. non dovesse essere un dipendente del Gruppo Save né esserlo stato nei sei mesi precedenti alla nomina, né dovesse avere collaborato con Save. E Save non poteva fargli proposte di lavoro nemmeno dopo la cessazione della carica. In altre parole, l’A.D. doveva avere caratteristiche di indipendenza. Una domanda facile facile: chi è da qualche anno l’Amministratore delegato del Catullo? Monica Scarpa. E chi è Monica Scarpa? Nientepopodimeno che l’A.D. di Save in persona. Ovviamente in conformità ai più rigorosi criteri di indipendenza. Ci saranno delle buone ragioni? Non è dato saperlo.
Quarta considerazione. Per poter essere dialettici all’interno di un CdA, oltre ad avere voglia di farlo, bisogna anche esserne in grado. Per discutere un Piano industriale bisogna saperne di gestione aeroportuale almeno quanto il tuo interlocutore. Quindi nel CdA bisogna piazzare degli amministratori con i controfiocchi! Secondo voi ce le hanno gli amministratori nominati dai soci pubblici? Qualcuno di questi è in grado di contrapporsi a Monica Scarpa? La triste realtà è che le categorie economiche criticano le lottizzazioni quando le fanno i politici e poi, quando tocca a loro, fanno esattamente la stessa cosa. Paolo Arena è stato scelto per concorso? E’ un esperto di gestione aeroportuale? E prima di lui Bortolazzi, sotto la cui gestione il Catullo ha rischiato il fallimento, aveva queste caratteristiche? Mi sembra evidente che, date le premesse, il controllore non poteva che essere “catturato” dal controllato. Ecco perché le partnership pubblico-privato non funzionano.
Quinta e ultima considerazione. Chi sbaglia rarissimamente paga. La vicenda Soppani è emblematica. Massimo Soppani era il direttore generale del Catullo all’epoca della presidenza Bortolazzi, prima dell’arrivo di Save. Il Catullo gli ha fatto causa, ritenendolo responsabile del dissesto. Richiesta risarcitoria pari a oltre 23 milioni di euro! Bene, Soppani è stato recentemente condannato dal Tribunale delle Imprese (sentenza appellabile) a pagare 94.340, cioè nulla. I Giudici hanno riconosciuto che i contratti da cui sono derivate ingenti perdite erano stati deliberati dal Consiglio d’amministrazione e Soppani è stato condannato solo nella misura in cui ha disatteso i contratti approvati dal CdA, misura evidentemente modesta. Nessuna azione risarcitoria è mai stata promossa contro membri del Consiglio d’amministrazione. Quando Soppani dichiara che si è voluto fare di lui il capro espiatorio è difficile non provare un moto di solidarietà. Ci rivediamo tra qualche anno, al prossimo aumento di capitale e alla prossima rappresentazione della commedia dell’arte.
(* presidente dell’Istituto Adam Smith di Verona, già presidente di AGSM Verona)