(di Davide Rossi) Mercoledì 29 settembre, nella splendida cornice della Società Letteraria, alle ore 17.30, alla presenza della Presidente Daniela Brunelli e dell’avvocato Alessandro Rigoli, verrà presentata l’ultima fatica di Gianni Oliva. Un testo dall’argomento non facile, per non dire ostico. D’altronde l’Autore – che non fa mistero della sua matrice ideologica di sinistra – ci ha già abituato a percorsi in controtendenza, se pensiamo che il suo Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria è stato edito prima dell’istituzione del Giorno del Ricordo, in un clima molto differente.
Ora il tema è paradossalmente ancora più scabroso, affrontando La Bella morte. Gli uomini e le donne che scelsero la Repubblica sociale (Mondadori, 2020).
Inutile nascondersi come per la vulgata (e la storiografia) dell’Italia repubblicana i «ragazzi di Salò» hanno rappresentato il «male assoluto», assorbendo su di sé tutte le colpe storiche del fascismo. Basti pensare alle parole di Italo Calvino, partigiano combattente, quando scriveva: «Quel furore antico che è in tutti noi è lo stesso che fa sparare i fascisti, con la stessa speranza di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra».
Negli anni ci hanno provato a sdoganare la questione dei «ragazzi di Salò» prima il presidente della Camera Luciano Violante, quindi il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in un dibattito spesso strumentale e dalle pieghe politiche più che scientifiche.
Gianni Oliva ne propone oggi una lettura storiograficamente equilibrata, rintracciando le motivazioni dei volontari che scelsero di continuare a combattere accanto a Mussolini una guerra persa: i valori sedimentati dall’educazione di regime (la sacralità della Patria e dell’onore, la lealtà alla parola data, il rispetto per i caduti in battaglia) si intrecciano con il disgusto morale per il «tradimento» dell’8 settembre, la volontà di vendicarsi dei voltagabbana, dei doppiogiochisti, dei funamboli dell’abiura.
In questo coacervo di suggestioni e sentimenti, si sviluppa un’esperienza storica condizionata dal rapporto di forte subordinazione alla Germania nazista, dalla rassegnazione del Duce restituito controvoglia al protagonismo politico (basti leggere la recente Corrispondenza Repubblicana, a cura di Giuseppe Parlato), dai contrasti interni alla dirigenza di Salò e, soprattutto, dalle asprezze di una guerra che non può che definirsi civile. «Cercare la bella morte» diventa la prospettiva drammatica di un percorso che si esaurisce nella furia di piazzale Loreto: è la storia di una scelta diversa, che per il numero di adesioni e per il significato storico non può essere rimossa, né considerata residuale. Un volume difficile per un argomento difficile, che Oliva affronta senza pregiudizi o timore di compiacere. Il prossimo anno ricorrerà il centenario della Marcia su Roma e non bisogna aver timore di affrontare questi temi, evitando tensioni politiche e puntando a ricostruzioni storiche scevre da revanscismi o da precostituzioni ideologiche.