La Fimmg, il potente sindacato dei medici di famiglia, si è espressa sulla proposta delle regioni di cambiare la posizione dei propri associati da “convenzionati” a “dipendenti”. Proposta articolata all’interno del PRR (Piano di Ripresa e Resilienza) che riforma radicalmente il ruolo del medico di base proponendo di inserirlo nel ruolo dei dipendenti delle Aziende Sanitarie e nelle Case di Comunità, cioè delle nuove unità di base della medicina territoriale in sostituzione degli attagli studi professionali. “Integrare nella Casa di Comunità il primo punto di accesso, la struttura burocratica amministrativa, la tecnostruttura, le specialità, non può certo migliorare l’accesso al servizio, quanto renderlo sempre più distante dai bisogni quotidiani e “generalistici” dei cittadini”.
La risposta è un no, tondo tondo. I medici non vogliono diventare dipendenti e firmare il cartellino. Vogliono mantenere il rapporto di convenzione. Con i loro 60 mila studi, dicono, hanno svolto e svolgono un servizio che allo stato costa meno degli ospedali, ma soprattutto è basato sul principio della libera scelta del cittadino che decide di rivolgersi al medico di cui si fida. Con la dipendenza il rapporto fiduciario verrebbe meno.
E le Case di Comunità non devono sostituire gli studi, ma integrarli. E non potrebbero garantire la stessa diffusione capillare sul territorio. E dev’esser un medico convenzionato a dirigerle
La strada migliore, secondo la Fimmg, è l’associazione di vari medici di famiglia collegati fra loro con il pc, magari prendendo in carico della cronicità, dell’acuzie non complicata dell’assistenza domiciliare e residenziale e della sorveglianza epidemiologica. Tutto questo con la partecipazione di un infermiere.