Anche se il voto delle comunali, specie nelle grandi città, ha perso molto della valenza politica che aveva diec’anni fa quando si affrontavano i Fini, i Veltroni, i Fassino, i Rutelli, gli Alemanno, i Cacciari o la stessa Meloni, una ragionamento sul voto di queste amministrative bisogna farlo. Sgombriamo subito il campo dal discorso dell’affluenza. Ce la menano ogni volta con i dati su quanti sono andati a votare e quanti no. Per favorire l’accesso al voto in Italia siamo gli unici coglioni che fanno votare anche il lunedì, così se il rag. Fantozzi alla domenica non può andare a votare perché impegnato nella gita domenicale, può farlo con suo comodo il giorno dopo. E’ ora di finirla con la menata dell’affluenza. Se uno non va a votare, chissenefrega. Peggio per lui. Vuol dire che gli van bene le decisioni che prendono gli altri… Ma una democrazia matura dovrebbe farsene un baffo di coloro che della democrazia se ne fregano, che non partecipano e non esercitano il loro diritto/dovere di elettore.
Primo dato: la fine dei cinquestelle è stata certificata: i grillini sono morti. Amen. Era ora. Sempre troppo tardi. Non spendiamo una parola di più.
Secondo dato: la sinistra ha vinto per demerito del centrodestra.
Terzo dato: la sconfitta del centrodestra era nell’aria. Non è grave, per il motivo di cui sopra, ma è un segnale da non sottovalutare che indica che ci vuole coerenza fra quello che si fa e quello che si dice, altrimenti si perde di credibilità. E su questo il centrodestra ha toppato. Non si può sbandierare l’unità e poi separarsi nell’atto più importante dell’azione politica che è quello del governare. Gli elettori, anche inconsapevolmente, hanno percepito questa contraddizione. E siccome sanno che il centrodestra o è unito o non vince, se lo vedono separato lo puniscono.
Quarto dato: Salvini ha subito affermato la necessità di stare uniti. Giusto. E detto da lui che è stato il primo a rompere l’unità della coalizione andando al governo coi grillini suona come una salutare autocritica. Poi l’errore è stato ripetuto col governo Draghi. La parola d’ordine doveva essere: o tutti dentro o tutti fuori. E invece…
Quinto dato: Salvini, facendo autocritica ha detto anche un’altra cosa molto importante. Specialmente per noi veronesi che fra sette mesi andremo al voto per scegliere chi guiderà il Comune. Ha dichiarato che l’errore principale è stato il ritardo con cui sono stato scelti i candidati del centrodestra. A Milano si è trovato un accordo sul ventesimo candidato proposto. I 19 precedenti – fra i quali ottimi competitor con curricula di spessore in grado di fare di Milano una vera capitale europea – sono stati tutti impallinati ora dall’uno, ora dall’altro partito. Sala – che ha vinto al primo turno – avrebbe perso secondo più quotati sondaggi se ci fosse stato in gara Gabriele Albertini, ad esempio, e senza nemmeno passare per il ballottaggio. Per le prossime amministrative, bisogna sceglierli a novembre, ha detto Salvini, in modo da poter fare una campagna elettorale adeguata e non dell’ultimo momento. Musica per le orecchie di noi veronesi. Il candidato sindaco di tutto il Centrodestra lo vogliamo saper entro il mese prossimo. E magari anche quello del Centrosinistra. Soprattutto, il Centrodestra non dovrebbe rifare quanto accaduto a Isola della Scala con Fratelli d’Italia e VeronaDomani da una parte; Lega e Tosiani dall’altra.
Sesto dato: la Meloni, che sa bene come la questione principale dell’Italia ruota attorno Draghi, ha subito rilanciato la palla nel campo avversario. Noi siamo disposti a votare Draghi presidente della Repubblica purché si facciano subito le elezioni. Una bella mossa, che alza il livello del confronto politico e offre al centrodestra una grande occasione di unità.