(s.t) La corsa di Cattolica verso Trieste è iniziata stamattina in Borsa a Milano, ma la compagnia veronese non sembra certo viaggiare su un treno veloce. Anzi, nel primo giorno dell’Opa lanciata di Generali pare di essere su una tradotta. L’Offerta pubblica, che terminerà il 29 di ottobre, ha come obiettivo il delisting del titolo Cattolica e parte da un prezzo di 6,75 euro per azione. In questo primo giorno il titolo è rimasto al palo da due punti di vista: non solo per la quotazione (7,04 euro, pari a +0,21%, dopo essere arrivato nei giorni scorsi fino a 7,2) ma anche per il numero di azioni scambiate. Solo 1444 le azioni messe sul tavolo, per una risibile quota dello 0,00083% dei titoli oggetto dell’Opa. Chi puntava su un ipotetico assist sul prezzo per il momento rimane deluso, anche se non si escludono novità da qui a venerdì 29, magari utilizzando come driver per un ritocco una scarsa adesione.

Sul piano pratico, Generali ha ribadito che procederà al delisting di Cattolica purché venga raccolto almeno il 50%+1 azione, Il prospetto informativo anzi sottolinea che al di sotto del 90% del capitale non farà nulla “per ripristinare le condizioni minime di flottante per assicurare il regolare andamento delle negoziazioni”. Se invece arriverà almeno al 66,67% avrà abbastanza voti nell’assemblea straordinaria per approvare la fusione. La linea del Leone è quindi abbastanza chiara: Cattolica la vogliamo, e con un piccolo sforzo ce la prenderemo, visto che la base di partenza è il 24,4% dell’aumento di capitale dell’anno scorso, e con il conferimento delle azioni proprio della compagnia la soglia del 50%+1 azione non è poi lontanissima. Di sicuro non mancano i motivi di interesse e di rivalsa anche tra gli azionisti, scottati da anni di depressione: non nel senso psicologico, ma in quelli ben più concreti del valore del titolo prima, poi di dividendi via via sempre più risicati e infine dalla scoperta che la gestione dell’era Bedoni è stata tutt’altro che trasparente ed efficace.

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L’andamento del titolo Cattolica negli ultimi sei mesi: da fine giugno è sempre stato sopra il valore previsto dall’Opa.

A questo proposito nei giorni scorsi va segnalata una dichiarazione di Alberto Minali, che di Cattolica è stato amministratore delegato proprio nella fase crepuscolare della precedente stagione. Alla domanda se ritenesse un po’ scarsa l’offerta di Trieste, ha commentato così: “Io sono ancora azionista di Cattolica, quindi spero che Generali rilanci e aumenti il prezzo. Tenendo presente il valore di Cattolica sul mercato e il suo posizionamento credo che 6,75 sia troppo basso. E lo dico da azionista, non solo da ex manager”.

La stessa cosa, se parlasse, la direbbe probabilmente anche il finanziere Warren Buffet, approdato in Lungadige Cangrande con un prezzo di acquisto di 7,35 euro e quindi probabilmente poco disposto ad andarsene in perdita. Andrebbero aggiunti anche i malumori dei grandi investitori (come  la Fondazione Banca del Monte di Lombardia, che detiene il 3,7%) e dei fondi, tradizionalmente affezionati a una società che rendeva, almeno come dividendi. Ma per ora tutti tacciono. Si dice che chi tace acconsenta, ma possiamo credere che i grandi azionisti si accontentino e non chiedano a gran voce un rilancio? Forse (ma sono solo ipotesi che si rincorrono) perché non lo stanno gridando ma sussurrando nelle orecchie giuste, per ottenere un risultato senza agitare il mercato e far scendere in campo la speculazione.

L’ultimo motivo di irritazione, diffuso sia tra i piccoli investitori che tra i risparmiatori “cassettisti”, è l’entrata a gamba tesa di Equita Sim. Anzi, per qualcuno è più una “manina”, invisibile ma concreta. La banca di investimenti ha dichiarato in una nota che “l’offerta di Generali per Cattolica dovrebbe rendere tutti felici”. Peccato che Equita sia l’advisor di Generali proprio nell’Opa (c’è scritto nel prospetto informativo), eppure non sembri consapevole di un conflitto di interessi che per diversi osservatori risulta invece evidente. “E’ come chiedere all’oste se il vino è buono”, scrive un piccolo investitore, rilevando come Equita “curiosamente non si sofferma sul fatto che il prezzo di mercato è più alto di quello dell’Opa, cosa che farebbe se non fosse advisor dell’offerente”.

Nella sua nota Equita cita cinque motivi per vendere a 6,75: Generali valuta Cattolica sopra la media storica; anche il Cda di Cattolica considera congruo il prezzo; avere Generali nell’azionariato ha supportato il titolo; il realizzo sarà immediato perché l’offerta è per cassa; e infine …non ci sono alternative. O mangi la minestra o salti dalla finestra, insomma. Equita cita poi anche cinque rischi in caso di mancata adesione o di fallimento dell’Opa: Generali potrebbe offrire condizioni meno favorevoli a chi non vende; senza Opa, Cattolica avrebbe dovuto completare la seconda tranche (200 milioni) dell’aumento di capitale chiesto da Ivass; altri contraccolpi generati dall`obbligo di vendita di azioni proprie (9% del totale); rischio di affondare la partnership con Banco Bpm; e infine poco spazio per altri accordi bancassicurativi. Insomma, sembra una specie di “offerta che non potete rifiutare”, come dicono i duri al cinema.

Ma il mercato è mobile (come la donna nel Rigoletto), e domani il vento potrebbe cambiare, o gli azionisti farsi sentire. Sarà un lungo ottobre, per Cattolica e chi deve sfogliare la margherita: vendo o non vendo?