Il transumanesimo è già iniziato. Si fanno mettere il microchip sotto pelle fra il pollice e l’indice. Cinque minuti. Nessun dolore. Poi non si vede più niente. E’ meno grande di una lenticchia.

Dicono per semplificare la vita, per risparmiare tempo, così non ci si deve portare dietro bancomat e carte di credito e documenti vari. E non si perdono. Si parcheggia, si entra in ufficio, al cinema. E appoggiando la mano sul telefonino puoi scaricare i dati che ti interessano attraverso un’App.

E’ la tecnologia che dopo essere entrata nella nostra vita entra nel nostro corpo. D’altra parte già con la medicina lo sta già facendo da un pezzo. Che cos’è un pacemaker, o un dosatore elettronico d’insulina? Nessuno s’inquieta per questo. Ma per il microchip sotto pelle sì. E’ inquietante. Semplicemente perché mentre per i dispositivi sanitari non c’è dubbio che funzionino nell’interesse di chi li ha installati dentro di sé, lo stesso non vale per il microchip che fa da bancomat e da tessera del bus. L’applicazione sanitaria è accettata. Quella economica o informatica in senso lato no, perché genera dubbi sulla sua eticità, sulla privacy e in ultima analisi sulla libertà.

La tecnologia utilizzata è la NFC, Near Field Communication, contactless. Non ha bisogno di alimentazione in quanto non emette segnale autonomamente. Nè, garantiscono, può tracciare chi porta i microchip. E’ come una carta di credito.

Insomma, come tutte le cose create dall’uomo, anche il microchip sotto pelle che oggi inquieta non è in sé né buono né cattivo. Dipende dall’uso che l’uomo ne vuol fare. Se per rendere la vita più semplice o, nel caso della medicina, più lunga e vivibile, oppure per tenerci sotto controllo. Ma, date le caratteristiche tecniche di quelli che finora sono stati piantati, alcune migliaia in Svezia, negli States ed in altri paesi europei, sembrerebbe impossibile. Almeno per ora. Esattamente come sarebbe impossibile rintracciare il proprio cane microchippato nel caso si perdesse.