Nonostante il vento della ripresa soffi forte in Veneto, manca ancora molto per tornare ai livelli pre-covid: al Pil regionale (a valori correnti) mancano 6 miliardi€ per andare a pari col dato 2019; gli investimenti fissi delle imprese, più 16% in Veneto contro il 15,3 del resto d’Italia) si fermeranno a poco meno di 30 miliardi, quasi tre in meno rispetto a due anni. Le famiglie, infine, spenderanno quest’anno nove miliardi in meno rispetto a due anni fa, 87 contro 96 miliardi. Certo, il PIL procapite cresce a 31.400€ contro i 27.800 € che racimola il resto del Paese. Ma, insomma, dobbiamo fare di più e sperare che nel 2022 la ripresa di quest’anno venga confermata, che non ci siano ulteriori colli di bottiglia nella supply-chain internazionale (e che questo convinca gli imprenditori veneti ad un reshoring che sarebbe la vera scommessa vincente per il Nordest), che il petrolio non corra ancora verso quota 100 dollari al barile (in un anno è raddoppiato da 41 dollari a quasi 80), e che no-vax, no-tampax ed affini non surriscaldino il clima sociale che dopo due anni di pandemia ha i nervi a fior di pelle. Il Bollettino statistico regionale, uscito oggi, dà un quadro della nostra regione in chiaroscuro: da un lato la crescita c’è (i fallimenti sono calati del 28,6%); dall’altro i limiti strutturali non sono scomparsi (le startup in Veneto sono 1.099, l’8,1% delle startup italiane contro l’8.3% del totale delle imprese venete sulla massa nazionale) e su questi, probabilmente dovrebbe indirizzarsi il Pnrr declinato da Venezia per la quota di sua competenza.

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Ad esempio, uno degli obiettivi del Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza (PNRR) è la maggiore inclusione delle donne agli studi scientifici. Lo scopo è quello di creare nella  scuola la “cultura” scientifica appositamente incentrata sull’insegnamento STEM (Scienze, Technology, Engineering end Mathematics), nella convinzione che una forte base nelle materie tecniche e scientifiche sia propedeutica alla conoscenza più applicativa degli strumenti per il digitale. Molte ancora le disparità di genere da superare. Un esempio? Su 100 studenti iscritti in corsi ICT (Information and Communication Technologies), 85 sono uomini e 15 sono donne e su 100 iscritti ad ingegneria solo 26 sono donne. Queste differenze durante il percorso universitario si traducono in percorsi lavorativi differenziati fra uomo e donna che portano i primi ad avere più possibilità di carriera e di guadagno. Considerando la fascia di età 25-34 anni, nel 2019 in Veneto il 27,4% dei laureati ha una laurea STEM: tra i maschi la percentuale è il 45%, mentre tra le femmine solo il 14,7%.

E ancora,  i servizi socio-educativi per la prima infanzia rappresentano un servizio assistenziale e di sostegno al lavoro femminile da un lato e un importante stimolo pedagogico per i bambini dall’altro; queste caratteristiche ne fanno un elemento cardine delle politiche di inclusione. In Veneto nel 2019 i posti disponibili sono 30,6 ogni 100 bambini di 0-2 anni, più che a livello nazionale (26,9%), ma inferiore all’obiettivo europeo del 33% entro il 2010. Le presenze dei nidi sono molto differenziate nel territorio, privilegiando le città; per questo, comuni che non hanno posti sufficienti implementano accordi intercomunali per offrire ai propri residenti l’accoglienza in una struttura di un comune limitrofo. Dal lato della domanda, nel 2019 in Italia frequenta un servizio educativo il 26,3% dei bambini sotto i 3 anni, nel Nord-Italia il 29,3%, contro una media europea del 35,5%. I genitori che scelgono di far partecipare il proprio figlio al nido hanno in genere una buona consapevolezza dell’importanza del suo ruolo educativo e socializzante (65,8% in Veneto, 64,7% in Italia). Per quei genitori che non scelgono il nido, invece, la mancata partecipazione viene motivata principalmente con la presenza di un’alternativa familiare per l’accudimento del piccolo. Motivazioni oggettive indipendenti dalla famiglia, come il costo eccessivo, la lontananza, gli orari scomodi o la domanda rifiutata, riguardano complessivamente il 25% circa delle famiglie (20% in Italia). Queste famiglie che individuano motivazioni oggettive sono parte di quella domanda potenziale che non viene soddisfatta.

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Non mancano, ovviamente, le note positive: sul tema dell’energia ad esempio dove il Veneto si appresta a raggiungere gli obiettivi europei. La Direttiva 2009/28/CE stabilisce gli obiettivi di sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili da raggiungere entro il 2020. L’obiettivo per l’UE è raggiungere il 20% dei consumi finali di energia nei settori elettrico, termico e dei trasporti attraverso le fonti rinnovabili. Ai singoli paesi sono assegnati obiettivi individuali: per l’Italia il target è pari al 17%. Dal 2013 al 2019 l’Ue cresce dal 15,4 al 18,9%, mentre l’Italia dal 16,7 al 18,2%, valore superiore al proprio target. A seguito della Direttiva europea, in Italia, il Decreto 15 marzo 2012 del Ministero dello Sviluppo economico “Burden sharing” individua gli obiettivi al 2020 per ciascuna Regione e Provincia autonoma, ai fini del raggiungimento dell’obiettivo nazionale. In Veneto, a fronte dell’obiettivo stabilito del 10,3% di consumi finali lordi di energia coperti da fonti rinnovabili, nel 2019 l’indicatore si ferma al 16,6%. Successivamente, a seguito degli Accordi di Parigi del 2015, tra il 2018 e il 2019 la UE ha definito nuovi e più ambiziosi obiettivi in materia di energia e clima per il periodo 2021-2030 con il pacchetto legislativo “Energia pulita per tutti gli europei” – noto come Winter package o Clean energy package.

Infine, da segnalare il balzo in avanti dell’export registrato nel primo semestre dell’anno, con un +24,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020, una performance in linea con quella rilevata a livello nazionale. Trainano l’export veneto i settori delle produzioni di metallo, dei macchinari e il comparto moda. I mercati più dinamici nei primi sei mesi dell’anno sono risultati essere quelli di Francia (+982 milioni di euro), Germania (+802 milioni di euro) e USA (+498 milioni di euro). Vola il mercato del vino: dopo un primo trimestre di incertezza con un dato di export negativo (-6,8% rispetto allo stesso periodo del 2020), nel primo semestre dell’anno si riscontra una importante ripresa (+12% rispetto al 1° semestre 2020). Nei primi sei mesi le esportazioni di vino made in veneto arrivano a 1.142 milioni di euro, oltre un terzo del valore delle esportazioni nazionali, superando anche il dato registrato nel 1° semestre 20219 (1.071 milioni di euro), prima della pandemia.