Quando il presidente della Repubblica parla in un discorso ufficiale non dice nulla a caso. Sono sempre parole ragionate e soppesate. Ieri ricordando un suo predecessore, Giovanni Leone, Mattarella ha citato il messaggio che nel 1975 inviò al Parlamento nel quale, assieme ad altre valutazioni di diritto costituzionale, propose di introdurre l’ineleggibilità del Capo dello Stato. Cosa che qualche anno prima aveva proposto un altro Presidente, Antonio Segni, che aveva giudicato il settennato un periodo “sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato”.
E in quello stesso messaggio Leone ricordava che da presidente del Consiglio, nel 1963, si era fatto promotore di un disegno di legge che recepisse l’auspicio espresso dal suo predecessore. Quello stesso citato da Mattarella il 2 febbraio scorso, nel pieno della crisi del secondo esecutivo di Giuseppe Conte, in occasione dei 130 anni dalla nascita di Segni.
Non è casuale che Mattarella citi le posizioni espresse da due illustri predecessori circa la rielezione del Presidente della Repubblica. E non è la prima volta che in varie occasioni, formali e non, Mattarella si esprime per la non rieleggibilità in linea di principi e manifesta la decisione di non ricandidarsi, a cominciare dal discorso di fine anno del 2020 che lui stesso annunciò essere “l’ultimo del mio mandato”. Altre volte ha espresso la medesima opinione. Ultima in ordine di tempo
la confessione ad una scolaresca romana: “tra 8 mesi il mio incarico termina, io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”.
Il fatto che abbia indirettamente riaffermato l’intenzione di non ricandidarsi ieri nella commemorazione di Giovanni Leone sgombra definitivamente il campo dall’ipotesi della prosecuzione del tandem Mattarella-Draghi, il primo al Quirinale, il secondo a Palazzo Chigi.