La fine del Chievo è iniziata con il caso delle plusvalenze. Un’indagine partita da Cesena aveva fatto emergere che fra il 2015-2018 nella compravendita fra la locale società di calcio il Chievo aveva gonfiato il ricavi per ottenere l’iscrizione ai campionati pur non avendone i requisiti finanziari. 40 milioni il debito accumulati dalle due società con l’erario. La società di Campedelli, che prima pareva venisse retrocessa, ma poi venne penalizzata di qualche punto, venne bastonata con una forte multa. La vicenda determinò un terremoto anche a livello sportivo. L’incertezza del futuro ed il venir meno di importanti risorse ebbe l’effetto di destabilizzare la squadra, di impedire l’acquisto di giocatori importanti e, per farla breve, fu il primum movens di una crisi finanziaria, giudiziaria e sportiva che portò alla cancellazione del Chievo. Insomma il Chievo non esiste più.
Avevano un bel dire i sostenitori del Chievo – e non solo loro- che quello delle plusvalenze è un fenomeno generalizzato, che “così fan tutte”. Ma il Chievo non aveva santi in paradiso. Tutta l’attenzione s’era concentrata sul povero Campedelli che ha fatto la fine che tutti sappiamo.
Adesso però salta fuori che ad essere accusata di plusvalenze per un totale di 282 milioni in tre anni non è più la Cenerentola, ma addirittura la Signora del calcio italiano: la Juventus, un palmares lungo così, proprietà della famiglia Agnelli. Le sedi della società sono state perquisite dalla Finanza per acquisire i bilanci del periodo 2019-21 e per fare chiarezza sulle compravendite di alcuni giocatori.
Le indagini vanno avanti da maggio e sono condotte da un pool di magistrati della Procura di Torino. Ipotesi di reato: false comunicazioni delle società quotate ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Niente niente che era vero quel che si mormorava all’epoca dello scandalo plusvalenze del Chievo : “così fan tutte”?