Fabiana Dadone non se l’era mai filata nessuno. Ministro grillino per le Politiche Giovanili, è balzata agli onori della cronaca per la presa di posizione in favore della liberalizzazione della cannabis. Sull’onda della raccolta di firme per il referendum radicale sul tema ed entusiasmata dalla decisione liberalizzatrice del nuovo governo tedesco di sinistra, ha sollevato la questione. Una mossa che se fosse stata studiata a tavolino per spaccare la maggioranza di Draghi e mettere in imbarazzo il premier non potrebbe essere stata più azzeccata. Ma accreditare la Dadone di una simile capacità politica sarebbe eccessivo. Dai grillini più di tanto non ci si può aspettare. Molto più probabile che la sua uscita sia semplicemente dovuta alle sue personali convinzioni sulla droga. Il guaio è che le si subito accodato Orlando, ministro del Lavoro del Pd. In automatico la risposta del centrodestra compatto: di liberalizzare la cannabis non se ne parla.
Una bella grana per Draghi. Che non ci voleva proprio alla vigilia delle elezioni del Presidente della Repubblica con tutto quel che ne segue. Se, partendo dall’emergenza, c’era chi stava lavorando per il superamento dello steccato destra/sinistra per il bene del paese e la “Grosse Koalition” draghiana poteva essere l’inizio di un nuovo percorso a partenza Quirinale, aver tirato fuori un tema così divisivo in un momento delicato come questo complica non poco le cose.
E non solo al centro. Anche in periferia. Prendiamo, per esempio, Verona. Come farà Damiano Tommasi candidato cattolico della sinistra a pescare i voti del centro benpensante veronese se, messo davanti al quesito “cannabis libera sì/ cannabis libera no”, dovesse confermare le posizioni dei due principali partiti del centrosinistra che lo sostengono? Per ora, Tommasi parla soltanto di calcio e di etica dello sport. Basterà a tenerlo lontano dalle insidie della politica militante?