(di Giulio Bendfeldt) «Chi dice che il Next Generation Eu è un progetto senza anima, senza visione, soldi e regole e basta, sbaglia e sbaglia per più motivi. La stessa narrazione che vuole questo come l’unico piano messo in piedi dall’Europa è zoppicante. Non è stato l’unico intervento e quell’Europa delle direttive e dei regolamenti stringenti ha lasciato spazio ad una Europa che ha un sogno, insegue una visione: quella che al 2050 i ragazzi di oggi vivranno in un continente che sarà “carbon neutral” e non distruggerà le risorse ipotecando il futuro delle prossime generazioni»: Mario Nava, classe 1966, guida la Direzione generale riforme della Commissione Europa. E’ l’uomo chiamato ad un ruolo strategico e delicato: aiutare gli Stati ad avviare e realizzare tutte quelle riforme – dall’ambiente, alla digitalizzazione, all’amministrazione della giustizia, al diritto allo studio e tante altre – che sono il cuore del Next Generation EU, quello che con un acronimo davvero brutto noi chiamiamo PNRR, piano nazionale di ripresa e resilienza. A EurHope dell’Università di Verona, Mario Nava – già presidente della Consob, una carriera trentennale a Bruxelles con incarichi via via sempre più importanti – ha spiegato quello che la sua Direzione fa per aiutare gli Stati a raggiungere gli obiettivi del piano europeo nato dalla pandemia.
«E non è neppure vero che questo programma sia simile al piano Marshall che rilanciò l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale – sottolinea Nava intervistato dal professor Sergio Noto e da Beppe Giuliano -: quello era un investimento “esterno” mentre questo è un impegno totalmente europeo, garantito dagli Stati sovrani dell’Unione e che sta incontrando un successo enorme negli investitori internazionali. E, aggiungo, non è nemmeno il primo piano di super-investimenti lanciato dalla Commissione europea: non va dimenticato il piano Juncker voluto dall’allora presidente della Commissione, il lussemburghese Jean Claude Juncker, per far uscire le economie continentali dal taglio degli investimenti successivo alla seconda crisi finanziaria dei primi anni Duemila: allora Bruxelles mise in campo 530 miliardi € che sono certamente meno dei 750 del piano attuale, ma non sono nemmeno tanti di meno. Insomma, l’Europa c’è e scommette sul futuro delle nuove generazioni».
Il piano Juncker portò all’Italia 12,9 miliardi come prestiti che generarono investimenti per 79 miliardi coinvolgendo 410mila Pmi italiane, realizzando 107 progetti infrastrutturali e innovativi: in pratica, in Europa, una piccola impresa su tre che beneficiò del programma era italiana.
Bei numeri, ma niente rispetto a quelli che dovrà realizzare l’Italia entro il 2023: soltanto ieri sono stati emessi bandi per 3 miliardi € sul capitolo scuola (quasi un milione di nuove assunzioni fra personale dalle materne in avanti e tutor per abbattere la percentuale di abbandono scolastico in Italia dal 16 al 9% più un super-piano di edilizia scolastica). Il PNRR prevede che entro il 2023 arrivino nel nostro Paese 69,9 miliardi di sovvenzioni; 122,6 miliardi di prestiti da rimborsare entro il 2058 più altri 30,6 miliardi aggiuntivi messi sul piatto dal governo nazionale. Una massa di denaro che equivale al 10,7% del nostro Pil, una delle percentuali più alte in Europa (superati in questo soltanto da Grecia, Romania e Croazia), la somma più alta destinata ad un singolo Paese, quasi un terzo di tutto l’impegno europeo. Ma per averli tutti bisognerà rispettare ben 527 condizioni e tempi certi. Alcuni programmi sono già “messi a terra” e viaggiano per i fatti loro, ma moltissimi richiedono alla pubblica amministrazione italiana un cambio di passo straordinario. Per favorire questo c’è, appunto, la DG Reform guidata da Mario Nava (non a caso una delle due nuove direzioni generali avviate da Bruxelles: l’altra riguarda lo spazio e la difesa) diventato un interlocutore determinante per Roma.
Prossimo appuntamento di EurHope di UniVerona il prossimo 9 dicembre col Direttore Emerito del Max Planck Institut, Wolfgang Streeck.