Il Consiglio dei Ministri ieri sera ha deciso. Lo stato d’emergenza è stato prolungato fino al 31 marzo. La decisione era scontata. Ma desta comunque polemiche. Chi contesta la scelta sostiene che non è altro che un escamotage politico/giuridico per continuare ad aggirare la Costituzione gestendo il potere in modo arbitrario e irrispettoso dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta. In realtà la scelta del governo è da ricondursi ad un motivo molto più semplice e pragmatico. La pandemia continua. I numeri persistono ad essere preoccupanti e se non si vuole ricadere nel baratro del lockdown è necessario conferire al governo quei poteri che gli permettono di agire con rapidità ed efficienza. Quello che ha fatto il generale Figliuolo, per esempio, nella campagna per le vaccinazioni sarebbe stato impossibile senza il regime di eccezionalità che consente lo stato d’emergenza. Ecco quindi la decisione del prolungamento fino al 31 marzo, data in cui, ci auguriamo tutti, non sarà più necessario reiterarla. D’altra parte l’emergenza c’è. Non possiamo far finta di niente. Quindi a mali estremi, estremi rimedi. Contestualmente è stato deciso che chi arriva in Italia dai Paesi europei sarà necessario un tampone molecolare effettuato nelle 48 ore prima dell’ingresso nel territorio nazionale o un test antigenico con tampone nelle 24 ore antecedenti l’ingresso. E’ confermato il divieto d’ingresso in Italia a chi negli ultimi 14 giorni è stato in Malawi, Sudafrica, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Mozambico, Namibia ed Eswatini. Invece, contrariamente alle aspettative, il governo ha scelto la linea morbida sulle mascherine. Non ci sarà l’obbligo di indossarle all’aperto come si era ventilato e come alcuni sindaci avevano deciso per i loro comuni. La decisione è stata ispirata dalle indicazioni di molti epidemiologi che ne ritengono inutile l’uso all’aperto. Uso che era stato sancito nei mesi scorso anche come deterrente psicologico, come monito visibile a tutti che ancora viviamo in pandemia. Rimane l’obbligo di mettere la mascherina nei luoghi dov’è prescritto dalle autorità locali, come deciso dal sindaco di Verona nelle strade affollate del centro.