Chi ha una  certa età ricorderà certamente questo nome: Abdon Pamich. Italianissimo, anche se il nome potrebbe suggerire altro. Lo si associa a immagini in bianco-e-nero delle sue imprese memorabili di marciatore.  Campione olimpionico ed europeo, 40 volte campione italiano su varie distanze. È stato uno degli atleti italiani che hanno vinto più medaglie nella specialità dei 50 km alle Olimpiadi cui ha partecipato cinque volte. Vinse la medaglia di Bronzo a Roma (1960) e la medaglia d’Oro a Tokyo nel 1964. E’ stato portabandiera a Monaco 1972.
In occasione del Premio Asi Sport&Cultura svoltosi al Salone d’Onore del Coni Pamich ha raccontato la sua vicenda. 
“Sono un profugo fiumano. Esule come tanti, dopo la fine della 2^ guerra, dal confine nord-orientale del nostro Paese. Quindici anni dopo l’inizio di quell’esilio, sono tornato in Jugoslavia. A Belgrado, nel 1962, ho vinto il Campionato d’Europa e, successivamente, la federazione ci ha mandato a un ricevimento di Tito che ho incontrato nella sua grande villa. Vivevano nel lusso mentre il popolo moriva di fame. Ed è lì – racconta il campione- che l’ho incontrato, insieme alla moglie Jovanka. Purtroppo, ci hanno presentato. E’ stato difficile…”. 

Come profugo fiumano Pamich si è sempre speso per la memoria dell’esodo Giuliano-Dalmata dopo la Seconda Guerra Mondiale, ed è sempre presente alla Corsa del Ricordo, organizzata da Asi. “La nostra è una storia per troppo tempo dimenticata, che andrebbe insegnata ai giovani nelle scuole. Senza memoria un Paese non esiste”, dice.
Nel suo racconto i periodi drammatici dell’esodo: “La vita era invivibile. C’era un’aria pesantissima, un’atmosfera di persecuzione per gli italiani. Insieme a mio fratello – ricorda Pamich- abbiamo tentato la fuga anche se sapevamo che a quei tempi sparavano. Siamo scappati prima in treno e poi a piedi correndo lungo i binari. Dal campo profughi di Novara siamo andati a Genova dove ci siamo riuniti con il resto della famiglia. Nel 1952 ho vinto la mia prima gara di Marcia: ero abituato a camminare per le montagne della mia terra. Ero un camminatore montanaro e anche uomo di mare: si sta con sé stessi, si medita, ci si conosce. Poi ci trasferimmo a Roma. Fu difficile ricominciare…”. Storie raccontate anche nel suo libro “Memorie di un marciatore”.