(di Stefano Tenedini) E due. Come prevedibile, dopo Francesco Gaetano Caltagirone anche Romolo Bardin, Ceo di Delfin e rappresentante di Leonardo Del Vecchio, si è dimesso dal Cda di Generali. Nel giro di pochi giorni la partita per il controllo del Leone si è trasformata da una guerra fredda con scaramucce alle frontiere a una mobilitazione generale dagli esiti incerti. Di sicuro c’è che dopo anni di equilibrio garantito da delicati pesi e contrappesi, ora che i due schieramenti stanno progressivamente mettendo le carte in tavola e togliendosi i guanti di velluto, la temperatura dello scontro continuerà ad alzarsi fino alla resa dei conti.
Come di consueto a dare la notizia sono state le stesse Assicurazioni Generali, che hanno reso noto che “il consigliere di amministrazione Romolo Bardin, consigliere indipendente e membro dei Comitati Nomine, Remunerazione, Investimenti, Operazioni strategiche, Operazioni con le parti correlate, ha comunicato le proprie dimissioni dal Consiglio. Il consigliere Bardin”, prosegue la comunicazione, “ha motivato le proprie dimissioni riferendosi alle modalità operative e ad alcune scelte del Consiglio e dei Comitati a cui partecipa, con particolare riguardo anche al processo di formazione della lista del CdA. Il consigliere Bardin è amministratore delegato di Delfin, società che è parte del patto parasociale stipulato con alcune società del gruppo Caltagirone e Fondazione CRT, e che detiene una quota del capitale sociale di Assicurazioni Generali SpA pari al 6,618%”.
Dopo l’annuncio, le dichiarazioni del presidente di Generali, Gabriele Galateri di Genola, che ha espresso “rammarico per la decisione assunta dal dott. Bardin. Voglio ribadire, anche in questa occasione, che la società ha sempre condotto la sua attività secondo criteri di assoluta trasparenza e rigorosa correttezza, nell’interesse di tutti gli stakeholder. Principi, questi, a cui confermo”, ha aggiunto Galateri, “ci si è sempre attenuti nei rapporti con tutti i consiglieri, senza eccezione alcuna e in ogni occasione”.
In caso ci fossero ancora dubbi dopo l’uscita del vicepresidente Caltagirone, la decisione di Bardin sancisce così definitivamente la rottura tra le due anime dell’attuale CdA. Alla vigilia c’è stato un lungo periodo di logoramento reciproco, con i “pattisti” che acquistavano azioni Generali sul mercato e la maggioranza che si comportava come se tutto andasse bene e il timone fosse saldamente in mano a Mediobanca e ai suoi alleati.
In parte questo periodo di studio ha coinciso negli ultimi mesi con l’avvicinamento di Generali a Cattolica Assicurazioni e poi con l’Opa vittoriosa del Leone. Ma è estremamente improbabile che ci si possa vedere un collegamento, e men che meno un rapporto di causa-effetto. Anche se è fuori discussione che la frattura si sia approfondita fino a diventare insanabile proprio intorno a due diverse visioni del futuro del Leone, che passa attraverso le scelte strategiche e le ipotesi di governance della principale compagnia assicurativa italiana. E quindi passa anche dallo sbarco a Verona, che di queste strategie è stata ed è un tassello tutt’altro che marginale.
Lo stesso Philippe Donnet, Ceo del gruppo al comando da quasi sei anni, è stato spesso accusato proprio da Caltagirone e Del Vecchio di non essere abbastanza coraggioso nelle scelte di fusioni e aggregazioni: e per questo sono contrari al suo rinnovo e puntano a sostituirlo alla scadenza di aprile. Quasi ad anticipare uno scontro aperto, i toni si stanno progressivamente alzando, visto che Caltagirone, forte di un 8% che ne fa il secondo azionista del Leone, non ha esitato a sostenere di essere stato “palesemente osteggiato e impedito dal dare il proprio contributo critico e assicurare un controllo adeguato”. E non è escluso che altre dichiarazioni pepate possano uscire nelle prossime settimane, ora che i due esponenti del patto sono più liberi di muoversi.
Infatti non dovranno più attenersi ai doveri di comunicazione al mercato, e questo fino al superamento di una quota di capitale pari al 10% a testa. Il che significa che potrebbero continuare a comprare azioni e superare la soglia di controllo oggi in mano a Mediobanca. Non è fantascienza, insomma, ipotizzare che ad aprile l’assemblea potrebbe scoprire senza averne avuto alcun preavviso che il controllo è passato di mano. A quel punto però saranno gli investitori istituzionali (che possiedono oltre un terzo del capitale), e il piccolo azionariato (con il 22,5%) a pesare sulla bilancia per la nomina del CdA e del Ceo.
Ma questo è uno scenario ancora relativamente lontano. Cosa potrà accadere a breve termine? Il prossimo passaggio è in programma già oggi, quando Generali dovrebbe riunire il CdA per presentare la prima stesura della lista dei candidati per il rinnovo. A questa ne seguirà una seconda abbreviata e infine quella definitiva che sarà portata in assemblea ad aprile per l’approvazione. Intanto è probabile che il CdA venga rimpolpato con nomine “temporanee” per mantenere almeno il numero minimo di consiglieri.
Quindi due liste contrapposte per la maggioranza e i “pattisti”. La prima è per la conferma di Donnet (sarebbe il terzo mandato), mentre per l’altra si rincorrono voci su un piano industriale cui si lavorerà ancora per qualche settimana e il piatto dei nomi si sta già riempiendo. Giovedì scorso tra i papabili alla presidenza erano circolati quello di Sergio Balbinot, già top manager del Leone, e ora si aggiungono Patrizia Grieco, ex numero uno di Enel, e di Paola Severino, ex ministro della Giustizia. Invece per la poltrona di Ceo, oltre al citato Giulio Terzariol, oggi Cfo di Allianz, emergono Matteo Del Fante, AD di Poste Italiane, e Fabrizio Palermo, ex AD di Cdp (ma forse solo nel ruolo di advisor dell’editore del Messaggero).
Per finire due parole anche sugli alleati delle due cordate. Per il momento al fianco dei “pattisti” e della CRT nessuno si è ancora scoperto, ma in Veneto, non lontano da Agordo che è terra di Del Vecchio, si continua a ricamare sulla decisione che prenderanno i Benetton. Anzi cosa farà Alessandro, da pochi giorni presidente di Edizione, la holding di famiglia: dopo una lunga storia di neutralità potrebbe essere il momento di un cambio di passo per un quasi 4% che potrebbe fare la differenza nella partita avviata per addomesticare il Leone. Dall’altra parte c’è un sostenitore storico di Mediobanca come De Agostini, che ha in mano poco meno dell’1,5% del capitale. Per questa quota da novembre si è avviata la procedura di dismissione, ma fino alla prossima assemblea i diritti di voto rimarranno attivi.