(b.g.) «L’Europa non ha la percezione di quanto la guerra sia oggi vicina ai suoi confini. Per questo, mai come ora, abbiamo l’urgenza di definire uno strumento militare comune europeo che non è più rinviabile. L’avevano già previsto i padri fondatori dell’Unione nel 1952 con la Comunità Europea di Difesa. Allora i tempi non erano maturi, ma adesso dobbiamo agire». Benvenuti nella nuova Guerra Fredda, a EurHope (le discussioni sul futuro dell’Europa avviate dall’Università di Verona, professor Sergio Noto) il presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea, il generale Claudio Graziano, non usa mezzi termini: le sfide che l’Europa ha di fronte non sono di facile risoluzione e sempre di più l’Europa è un “obiettivo”. Uno scenario reso evidente da come si è conclusa la stagione della “primavere arabe” con l’ingresso di Russia e Turchia nel nostro “cortile” a sud; dalla gestione delle migrazioni divenute arma politica e dall’escalation in Ucraina dove un Paese indipendente che vuole portarsi politicamente ad Occidente rischia l’invasione da parte della Russia; dalla stessa Brexit e dall’ingresso di Cipro nell’Unione con conflitto mai chiuso con la minoranza turca dell’isola.
Claudio Graziano, proveniente dalle truppe alpine, è uno dei militari più noti e competenti che l’Italia ha a disposizione: ha guidato missioni internazionali in Mozambico, in Libano, in Afghanistan; è stato al vertice delle nostre Forze Armate. Oggi è alle dirette dipendenze del “ministro degli Esteri” europeo, lo spagnolo Sepp Borrell, e presiede un Comitato dove siedono tutti i vertici delle forze armate dei 27 Paesi dell’Unione. E che non sia più un “gioco di guerra”, una simulazione di preparazione, lo testimoniano i fondi che Bruxelles ha stanziato per il potenziamento dell’arsenale europeo con l’European Defence Fund. «Il quadro è cambiato: gli USA guardano al Pacifico ed al contenimento della Cina; la NATO si concentra sulla difesa dei suoi territori; a sud abbiamo il triangolo dell’instabilità: Paesi che falliscono, la minaccia islamista, l’ondata migratoria. Non possiamo perdere altro tempo: siamo già sotto attacco, nella cibernetica, dobbiamo superare i limiti decisionali attuali e darci una struttura comune».
L’Europa, in verità, non arriva coi calzoni completamente calati a questa sfida: negli anni singoli Paesi hanno dato vita a formazioni miste – Italia e Spagna con una brigata anfibia; Germania e Francia con le truppe sul Reno; Germania e Olanda con una brigata corazzata – così come a progetti industriali congiunti sui principali sistemi d’arma: gli aerei Tornado ed Eurofighter; il carro armato Leopard; corvette e sommergibili. Una cooperazione strategica che, però, non esclude la competizione. Anzi.
«Nominalmente, l’Europa è l’area dove si investe di più nella difesa dopo gli Stati Uniti, ma non dobbiamo cullarci nelle statistiche: da noi i bilanci sono trasparenti, altrove non è così: Russia e Cina non applicano le nostre regole ed abbiamo soprattutto bisogno che i Paesi dell’Unione rafforzino la loro cooperazione tecnologica e industriale. Abbiamo in scadenza molti sistemi d’arma: abbiamo da sostituire tutti i carri armati (sono oltre 5mila in Europa, la metà Leopard delle varie generazioni) e ne abbiamo almeno quindici diversi in linea; abbiamo da realizzare il caccia di sesta generazione, quello che prenderà il posto dell’Eurofighter e del francese Raphale, e che dovrà garantire la futura superiorità aerea. Adesso abbiamo due consorzi in Europa: quello italiano, inglese e svedese del Tempest e quello franco-tedesco. Non possiamo permetterci questo spreco: i due progetti dovranno necessariamente convergere su un unico caccia europeo che garantisca la sicurezza dei nostri cieli.
Mettere insieme i generali sarà però ben più facile che mettere insieme i sistemi industriali: Italia, Francia e Germania (i tre grandi player in un’Europa che ha perso il Regno Unito) hanno colossi da miliardi di fatturato che se riescono a lavorare insieme su singoli programmi, hanno difficoltà nel “fondersi” per creare un “grande campione” continentale. E in questa difficoltà si inseriscono altri Paesi come la Turchia (che fa parte della NATO ma non dell’Unione Europea) che si è mossa in completa autonomia in Libia e Siria ed è diventata il principale produttore di droni armati e che sta acquisendo dalla Russia, quindi da un avversario della NATO, i suoi caccia di sesta generazione.
Quale la sua preoccupazione più alta da massimo comandate europeo? «Dopo vent’anni ci hanno ordinato di lasciare l’Afghanistan – risponde il generale Graziano – e questo è stato uno choc che ha messo a repentaglio l’intera credibilità occidentale. Abbiamo davvero tantissime sfide ed a pochi chilometri dai nostri confini o addirittura ai nostri confini. L’uso politico del fenomeno migratorio; la sfida nel Sahel (dove l’Italia è sul campo con la Francia); il Mediterraneo orientale; gli stessi Balcani che ancora non sono pienamente normalizzati; la situazione nelle ex Repubbliche sovietiche; gli attacchi cibernetici di cui già soffriamo; la sfida aerospaziale. C’è una domanda ampia di Europa e di sicurezza in diversi teatri operativi. E’ però un insieme di minacce di cui anche i cittadini e non soltanto i decisori politici nazionali ed europei debbono avere piena consapevolezza».