(di Paolo Danieli) Mi è capitato 17 volte di votare per il Presidente della Repubblica. 16 volte, nel 1992, per l’elezione del nuovo Capo dello Stato dopo le dimissioni di Francesco Cossiga. Una volta nel 1999 quando venne eletto Ciampi al primo scrutinio.
Quando sei lì con la matita in mano senza che nessuno ti vede, sei davvero libero di scrivere quel che vuoi. Nessuno lo verrà mai a sapere. Nelle 15 votazioni che precedettero la stentata elezione di Scalfaro, avvenuta solo dopo la strage con cui fu assassinato il giudice Falcone, anch’io, sapendo che anche quell’ennesima votazione sarebbe andata a vuoto, ho scritto, così tanto per fare, il primo nome che m’è venuto in mente. Ma solo perché avevo la certezza che la votazione era inutile e il mio partito non mi aveva dato indicazioni precise. E come me altri miei colleghi. Nelle votazioni importanti invece mi sono sempre attenuto alla linea del partito. Troppo forte il senso d’appartenenza. I partiti allora erano partiti veri, con solide radici ideologiche, per cui ognuno si sentiva vincolato ad eseguire quello che era stato deciso dal proprio gruppo. C’era, è vero, il fenomeno dei “franchi tiratori”. Ma anche questo aveva una connotazione politica di confronto all’interno dei partiti.
Questo per dire che, pur con tutte le variabili del caso, i giochi politici che si facevano erano abbastanza prevedibili proprio per il ruolo fondamentale che svolgevano i partiti.
Oggi non è più così.
I partiti non sono più quelli della 1^ Repubblica. Sono contenitori di voti leggeri, con vincoli ideologici blandi se non inesistenti, destituiti di quella forza etica che funzionava da collante. Il cambio di casacca di un centinaio e passa di parlamentari ne è la prova più evidente. Per questo fondamentale motivo l’elezione del Presidente della Repubblica è particolarmente incerta. Non solo perché i partiti in quanto tali non sono più in grado di esercitare appieno il loro ruolo politico, tanto da aver bisogno dei cosiddetti tecnici. Ma anche perché non hanno più il controllo dei loro parlamentari. E l’esistenza di un gruppo misto di un centinaio di parlamentari lo dimostra.