Se vai in ospedale o in qualsiasi altro ufficio il cognome che ti identifica è quello che hai da quando sei nato. Non esiste che una signora venga ricoverata con il cognome del marito. Sulla tessera sanitaria il cognome scritto è solo quello che ha quand’è nata. Che poi si possa accostare il cognome del coniuge è un altro paio di maniche. Ma il cognome è quello lì. Quello da cui si trae il codice fiscale.
Fa però eccezione Maria Elisabetta Alberti, presidente del Senato, che si fa chiamare col cognome del marito: Casellati. Il perché di questa stranezza lo saprà lei. Nè interessa saperlo. Quello che fa strano è che preferisca il cognome del marito. Cosa che suona ancora più strana nel momento in cui tutti parlano dei diritti della donna, delle quote rose, della dignità della donna.
Una delle motivazioni che stanno dietro la sua candidatura al Quirinale è che è ora che il Presidente lo faccia una donna. Bene. Ma poi la donna che viene candidata si fa chiamare col cognome del marito. Casellati, Casellati, Casellati…il cognome è risuonato 382 volte nell’aula di Montecitorio. L’operazione di candidarla s’è rivelata una debacle. Bruciata. E non è bello per la seconda carica dello Stato, impallinata da una settantina e più di franchi tiratoti. Ma c’è da chiedersi se, nel caso avesse raggiunto il quorum per l’elezione, questa avrebbe potuto essere convalidata. In fin dei conti lei si chiama Alberti.