(s.t.) Per il mondo dell’economia e della finanza la partita in corso per le Generali è molto più interessante della spasmodica ricerca di un presidente per il Quirinale. E Francesco Gaetano Caltagirone è senza dubbio il runner da tenere d’occhio, capace di corse in avanti e di scarti imprevisti ma tutt’altro privi di razionalità e di visione strategica. Non c’è altro modo di leggere la decisione a sorpresa dell’editore e costruttore romano di recedere dal patto con Delfin e Fondazione CRT (che vale più del 16% del capitale) per presentare una propria lista per il CdA della compagnia.
Le società del gruppo che fanno capo a Caltagirone hanno infatti comunicato agli altri due “pattisti”, come si legge in una nota recapitata anche a Generali, il recesso “unilaterale e immediato” dall’intesa. Riguardo alla motivazione, il gruppo Caltagirone precisa di “ritenere ormai superata la funzione cui il patto era preordinato”: in sostanza favorire la consultazione tra le parti in vista delle scelte da fare in vista dell’assemblea del Leone in programma ad aprile. La comunicazione aggiunge che non è stato invece preso alcun impegno sulla presentazione di liste di maggioranza o di minoranza, tantomeno in relazione al voto in assemblea.
Caltagirone, da quanto si apprende, ha quindi deciso di presentare una propria lista per il rinnovo del Consiglio di Amministrazione “sebbene”, precisa l’informativa, “non sia stata ancora assunta univoca determinazione circa la promozione di una lista lunga oppure corta”. La lettera sottolinea inoltre che l’obiettivo del patto che ha promosso in questi mesi gli acquisti di azioni della società triestina “era una stretta collaborazione informativa, anche attraverso il costruttivo confronto con gli organi della compagnia e con i suoi soci strategici, nell’ottica di una gestione più profittevole ed efficace”.
Il gruppo romano non manca però di rimarcare che “non è mai emersa da parte delle Generali alcuna effettiva disponibilità al confronto rispetto alle finalità condivisa dai pattisti”. Come esempio si cita la volontà di confermare il Group Ceo Donnet, che “è stata resa nota prima e a prescindere da adeguata interlocuzione, per di più prima dell’approvazione della procedura, assai censurabile nei contenuti, per la presentazione della lista del consiglio, scelta che non è sorretta da alcuna giustificata motivazione. Generali”, sottolinea poi la lettera, “ignora le istanze di cambiamento avanzate dagli aderenti al patto e ha presentato un piano nel solco dell’attuale gestione”, che il patto ritiene insoddisfacente.
Un altro dei motivi che avrebbero spinto Caltagirone a rompere gli indugi e a “mettersi in proprio” potrebbe essere l’irritazione per le voci che ipotizzano motivi per lo scontro con Trieste diversi dalla volontà di rendere il piano industriale più “movimentista” rispetto alle indicazioni fornite ai manager dal socio Mediobanca (forte del 17,25% dei diritti di voto) e degli alleati come il Gruppo De Agostini. Di qui la scelta di uscire dal patto per “perseguire le proprie strategie e scegliere le politiche di voto e di esercizio delle prerogative di azionista in modo aperto al confronto col mercato e la generalità degli investitori”. Caltagirone rivendica quindi di tenersi le mani libere da chiunque.
Fino a pochi giorni fa i “pattisti” erano visti come un gruppo compatto e determinato, al lavoro su una propria lista per il CdA, alla ricerca di nuovi nomi per il management e intenzionati a redigere anche un piano industriale 2.0 per il Leone. Intenzioni rafforzate dal rapido esodo di consiglieri collegabili proprio al patto, dallo stesso Caltagirone che era vicepresidente vicario al Ceo di Delfin Romolo Bardin, fino a Sabrina Pucci ritenuta vicina a Fondazione CRT. Tra gli analisti si fa notare che tutte queste mosse potrebbero in realtà essere un meccanismo studiato per continuare la scalata senza dover richiedere il via libera di Ivass, la vigilanza assicurativa, al superamento della soglia di attenzione del capitale.