Il recente blocco degli eurodiesel 4 e 5 così come delle vetture a benzina euro 2 e 3 – ma, soprattutto, il permanere sulla pianura padana di una letale cappa di smog – ha rilanciato il tema della transizione della motorizzazione dall’endotermico all’elettrico, full o hybrid che sia. I dati più recenti dicono che, nonostante i costi d’ingresso non proprio per tutti, le immatricolazioni di vetture PEV (che adottano un motore elettrico anche se non esclusivo) sono più che raddoppiate l’anno scorso raggiungendo la quota di mercato del 9,5%. Siamo lontani dalla Norvegia (dove l’86% delle nuove vetture è elettrico), ma la crescita del mercato è evidente con la consegna di 136.754 vetture al 31 dicembre scorso (più 128%).
Oltre al costo iniziale (ed ai mai risolti dubbi sulla sostenibilità complessiva di queste vetture comprendendo nel computo anche il costo ambientale dell’estrazione dei minerali necessari alle pile elettriche e quello del loro smaltimento) il problema è legato anche alla presenza di un numero adeguato di stazioni di ricarica veloce. In aggiunta agli impianti domestici – che si basano su impianti fotovoltaici in un’ottica di utilizzo del veicolo quasi esclusivamente urbano – l’Italia sta crescendo in maniera decisa: nell’anno appena trascorso i punti di ricarica sono cresciuti complessivamente del 35% arrivando a 26.024 punti in tutt’Italia. In rapporto al parco vetture circolanti, soltanto l’Olanda fa meglio dell’Italia, ma come numeri complessivi dei punti di ricarica siamo lontani dai 90mila olandesi, dai 60mila tedeschi, dai 51mila francesi e dai 45mila inglesi. A penalizzare l’Italia è soprattutto l’assenza di un piano per l’elettrificazione della rete autostradale e il “buco nero” del Sud dove – Roma a parte – l’elettrificazione è una cosa di là da venire. Non a caso, è la Lombardia la Regione col maggiore numero di impianti – 4.542 con una crescita di 1.216 impianti nell’ultimo anno -; seguono tre regioni con oltre 2mila300 impianti: Lazio (più 928 negli ultimi dodici mesi), Piemonte con 2.650 infrastrutture disponibili e il Veneto con 2.422 (più 690 nell’ultimo anno).
A livello di città, è Roma la realtà col maggior numero di colonnine disponibili – 1.673 – seguita da Milano, 717; Firenze, 522; Torino, 387. E Verona? Il recente report di Motus realizzato con la collaborazione anche di AgsmAim e di GardaUno (la multiutility che opera nel bacino del Garda), non vede la nostra città fra le prime dieci in Italia. In realtà, Verona sta messa meglio di quanto non dica la classifica. L’anno scorso infatti si è completato il piano triennale di Electrify Verona e sono state realizzati i 100 punti di allaccio previsti. Ma a questi vanno aggiunti quelli installati direttamente da Tesla – soltanto al Crown Plaza ci sono dieci colonnine a disposizione – in collaborazione con la GDO e il sistema alberghiero, e le colonnine avviate dalla catena di distribuzione di carburanti “Al Risparmio”. Il risultato pone la nostra città assai vicino all’ottavo posto – conteso con Catania – e davanti ad aree metropolitane di ben maggiori dimensioni come Bari o Palermo.