(di Stefano Tenedini) C’è voluto meno tempo del previsto, e comunque per molti è una bella sorpresa: la Ferroli sta uscendo dalla crisi e – rimessa in carreggiata con risultati ben superiori alle aspettative – oggi è pronta per tornare sul mercato. Secondo notizie di mercato non smentite il fondo inglese di private equity Attestor, che controlla il 60% della società di San Bonifacio, intende infatti affidare a Lazard la ricerca di un compratore cui cedere l’attività dell’azienda veronese oggi risanata. Attestor, ricorda Il Sole 24 Ore dando voce ai rumors, aveva rilevato nel 2015 il produttore di caldaie di San Bonifacio in una fase molto delicata per la sua stessa sopravvivenza, subentrando nella gestione ai Ferroli. La famiglia finora ha mantenuto il 40%, ma non si conoscono le sue intenzioni rispetto ai futuri azionisti di controllo.
Chi potrebbe subentrare al comando della Ferroli? Troppo presto per dirlo, ma l’azienda in buona salute farebbe gola sia ai fondi che a importanti gruppi industriali multinazionali attivi in Europa ma anche Oltreoceano e in Asia. Attestor aveva rilevato la società – con un investimento di 60 milioni – nello stesso anno della scomparsa del fondatore Dante Ferroli, oltretutto in tempo utile per evitare che venisse concesso il concordato che era stato richiesto. E l’intero sistema economico dell’Est Veronese aveva potuto tirare un sospiro di sollievo: il costo di una chiusura traumatica sarebbe stato altissimo in termini occupazionali e finanziari, considerato, ricorda Il Sole 24 Ore, che per il salvataggio si era mosso tutto il mondo bancario, da MPS al Banco BPM, da Intesa San Paolo a Sparkasse e a Unicredit, Crédit Agricole e Deutsche Bank.
In questo periodo alle porte di San Bonifacio è andato in scena non solo un salvataggio, ma un vero e proprio intervento di politica industriale che ha portato a un sorprendente recupero anche della generazione di valore per gli attuali azionisti e – in prospettiva – per i potenziali acquirenti. Com’è cambiato il rapporto fatturato / Ebitda in pochi anni? Da negativo per 10 milioni, nel 2018 il giro d’affari era di 320 milioni, mentre il margine operativo lordo era di soli 18 milioni, pari a un’incidenza del 5,6%. Il bilancio 2021 si è invece chiuso col raddoppio di questo indicatore: un Ebitda di 40 milioni su un fatturato di 400 milioni circa, pari al 10%. L’esercizio 2022 è previsto in ulteriore miglioramento, grazie a ingenti investimenti in tecnologie innovative, alla transizione energetica ed ecologica e nuovi prodotti come le caldaie alimentate a idrogeno, avanzate rispetto a quelle miste gas naturale-idrogeno.
Questo spiega anche perché la valutazione ipotizzata per la vendita della Ferroli, secondo quanto riferiscono le fonti de L’Adige, è decisamente più alta rispetto alle cifre apparse su Il Sole 24 Ore: non 400 milioni (in base a un multiplo 1:10 del margine operativo lordo come era stata ad esempio quotata Ariston) ma fino a 550-600 milioni con multipli di 14-15 volte l’Ebitda. Un premio di tutto rispetto per un’azienda che un quinquennio fa era data sull’orlo del baratro, con il rischio di perdere 600 lavoratori o anche di più, ingenerando una crisi sociale che si sarebbe riverberata su mezza provincia scaligera. Invece i livelli occupazionali si sono stabilizzati complessivamente a circa 2100 dipendenti, grazie a un incremento della produzione che ha bilanciato i tagli di costi alla ricerca di efficienza. Meriti senz’altro in buona parte da ascrivere all’amministratore delegato Riccardo Garrè, che ha guidato la fase di consolidamento e ripresa dopo essere stato CEO di Acciaierie Beltrame, Saint Gobain e Bormioli Rocco.
Ora l’azienda delle caldaie è in grado di realizzare prodotti in linea con la richiesta di sostenibilità energetica, requisito necessario per competere. Cresciuto sui mercati stranieri a cavallo del 2000, puntando soprattutto sulla Cina, oggi vuole crescere non solo nel riscaldamento ma anche nella ventilazione e nel condizionamento. Non solo a San Bonifacio: la proiezione di Ferroli è ormai globale, con fabbriche sia in Europa (Spagna, Germania) che in Asia (Vietnam e Cina), mentre il network commerciale copre dodici nazioni, potendo contare anche su brand come Isea e Lamborghini Caloreclima.