Riorganizzare il sistema culturale veronese per renderlo più efficiente, più aperto all’innovazione, più accessibile, democratico ed economicamente sostenibile. Un progetto di fondazione che vada oltre il piccolo cabotaggio della rete dei musei e della bigliettazione unica, ma ripensi davvero il ruolo del sistema museale cittadino liberandolo dal controllo della politica per trasformarlo in un nuovo vettore di crescita economica e per offrire a cittadini e turisti una programmazione. È quanto emerso dall’incontro “Ri-fondiamo la cultura. I musei della Verona del futuro” organizzato da Traguardi al teatro Fonderia Aperta, che ha fatto il tutto esaurito la sera di venerdì 11.
Al centro delle riflessioni dei quattro relatori – Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, Valerio Terraroli professore all’Università di Verona, Paola Marini già direttrice di Castelvecchio e Stefano Dindo per il Grande Castelvecchio – una parola su tutte: autonomia. Autonomia economica, in primo luogo, e autonomia dei musei dalla politica, che non soltanto deve agire nell’interesse collettivo e non solo dei propri elettori – come nel caso del Grande Castelvecchio – ma soprattutto deve agevolare i processi per rendere i musei liberi di programmare le proprie attività, in un orizzonte pluriennale, sciogliendoli dalla morsa della burocrazia comunale e garantendo una trasformazione fondata su strutture amministrative più agili, competenze e visione strategica integrata per dialogare con il privato e con altre istituzioni.
L’esperienza di altre città, in questo senso, può insegnare molto: i casi delle fondazioni di Venezia e di Brescia, molto diverse fra loro per dimensioni e budget ma assimilate dall’autonomia, ma anche quello del MART – di cui la Belli è stata direttrice – e dei musei autonomi nazionali, dimostrano con chiarezza che in un periodo di profonde trasformazioni anche nell’ambito culturale, i musei hanno necessità di essere affidati a governance competenti in grado di produrre internamente cultura abbandonando la stagione delle “mostre pacchetto”, di generare profitti necessari per valorizzare il patrimonio culturale, e di ricostruire un rapporto con tutti gli attori della città e della società. Una gestione libera da vincoli delle contingenze e degli interessi politici, ma che deve dar conto della propria attività con una programmazione di ampio respiro e con la capacità di interagire con tutta la cittadinanza, perché il museo è innanzitutto un luogo di democrazia.
Terraroli ha spiegato che «la questione dell’autonomia viene sempre letta nel sentire comune come qualcosa di pericoloso» per una preclusione nei confronti del “privato”, ma bisogna uscire da questo ragionamento dicotomico per rendersi conto che i musei oggi ne hanno assoluto bisogno. Anche perché autonomia non significa, in nessun modo, privatizzazione. Per questo, secondo il professore dell’Università di Verona, che siede anche nel comitato scientifico della Fondazione Brescia Musei, la Fondazione «non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza» per ristrutturare il nostro sistema museale, saldando programmazione culturale con programmazione economica, perché «non si può pensare che le attività culturali siano rette dal budget pubblico». E l’esperienza di Venezia insegna, come illustrato da Gabriella Belli: la Fondazione, in quel caso, «ha un bilancio autonomo, che deriva per il 95% dai biglietti e per il resto da attività di fund raising». Ma il problema, a Verona, sembra soprattutto essere l’assenza di «continuità nell’azione culturale. Che vuole dire una programmazione incisiva, che penetra a tutti i livelli di un’utenza che va dall’intellettuale di un pubblico generalista. Continuità che una Fondazione potrebbe garantire» e che garantisce anche ricadute sul piano turistico, perché «per un pubblico che viene dall’esterno la certezza che in città succede sempre qualcosa, che la città è sempre viva, che si svolgono eventi con calendari programmati a lungo termine» è fondamentale. Le opportunità, però, sarebbero moltissime, come ha sottolineato Paola Marini anche grazie a due “big” come Arena, che da anni attende un progetto museale forse finalmente all’orizzonte, e Casa di Giulietta, forse inviso ai veronesi ma importante per raccogliere risorse per il sistema museale.
Per Paola Marini missione della fondazione dovrebbe essere «dare una cultura in senso allargato, che arrivi anche alle strade, ai quartieri, come fanno i grandi musei internazionali. In molti, sui giornali, hanno interpretato la fondazione come un mezzo per mettere a sistema il settore culturale, ma la fondazione non è solo questo». E anzi dovrebbe essere lo strumento per risolvere nodi di lungo periodo, come quello aperto con fondazione Cariverona dopo la cessione di alcuni edifici storici. O quello di Castelvecchio, di cui ha parlato Stefano Dindo, in qualità di presidente della Civica Alleanza: «immaginiamo il museo di Castelvecchio come un magnifico gioiello che però, al contrario degli amanti, si deteriora. E se continua così, continua a deteriorarsi perché dagli anni Sessanta la funzione dei musei è cambiata. Per farne un luogo di democratizzazione dobbiamo intervenire: mancano spazi e strutture per i gruppi, per l’accessibilità, per la didattica, per servizi al visitatore necessari per farne un museo europeo».
«Non abbiamo volutamente parlato di questo o quel modello preferibile per la fondazione di Verona – ha spiegato, in chiusura, Pietro Trincanato, nella foto, presidente di Traguardi che ha moderato l’incontro – perché crediamo che chi oggi propone già le composizioni del CdA stia utilizzando un concetto alla moda, quello di “fondazione”, ma per preparare l’ennesima istituzione cittadina dove vige il solito manuale Cencelli. Per Traguardi, il punto di partenza dev’essere l’autonomia, per liberare i musei dalla stretta della politica, con nuove governance trasparenti, a tempo e vincolate a un progetto culturale e scientifico con obbiettivi misurabili. Una fondazione che garantisca la produzione culturale al proprio interno, aprendo opportunità di lavoro per i tantissimi professionisti della cultura che si formano nel nostro ateneo, e che possa diventare anche un elemento importante di attrattività in chiave economica e turistica. Un progetto che si salda fortemente al Grande Castelvecchio, per il quale l’Amministrazione dovrà attivarsi da subito per restituire ai veronesi uno spazio pubblico e identitario che oggi è a loro precluso, trasformandolo in quel luogo di cittadinanza e democrazia».