(di Stefano Tenedini) “Un po’ di timore rimane ed è comprensibile, ma il lavoro diplomatico prosegue per allentare la tensione e a far incontrare le parti, accantonando le provocazioni. Noi abbiamo dato un aiuto per coordinare le aziende situate nelle zone di confine vicine alle aree critiche, ma nessun italiano ha voluto lasciare l’Ucraina, e nemmeno gli investitori. Il Paese tiene”. Il presidente di Confindustria Ucraina Marco Toson, intanto che l’Europa tenta di tacitare i proclami di Washington e Mosca ed evitare una guerra dalle ricadute inimmaginabili, ha una preoccupazione concreta e immediata: preservare anche l’operatività e la fiducia delle aziende.

“Ho lavorato per vent’anni nel settore delle costruzioni, vissuto le rivoluzioni ucraine, i cambi di presidenti, le crisi anche economiche con frenate e accelerazioni. Da quando quattro anni fa è nata Confindustria Ucraina cerchiamo di rendere il Paese più allineato agli standard internazionali e più efficiente. Questa situazione preoccupante non ci voleva, ma non ci fermerà”, ribadisce l’imprenditore veneto. Toson confida nel ruolo della Ue, anche se sottolinea: “Peccato che siano state la Germania e la Francia a darsi da fare di più nelle trattative: avrei voluto un’Italia più attiva e decisiva, anche se negli anni la nostra presenza è molto migliorata sotto il profilo della presenza”. Un presidio di supporto che si basa su 23 sedi nel territorio.

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Marco Toson, imprenditore e presidente di Confindustria
Ucraina, Accanto, la cattedrale di Santa Sofia a Kiev.
Kiev 2

Confindustria Ucraina è nata nell’aprile 2018 sulla spinta di imprenditori, professionisti, manager e consulenti. L’obiettivo era creare le condizioni per sviluppare il business, far crescere l’interscambio e portare aziende di eccellenza e ricche di know how in una nazione decisa a crescere insieme all’Europa. Si sono associate società registrate in Ucraina, sia quelle che hanno costituito un polo produttivo che quelle interessate a scambi commerciali. Toson assicura che non è complicato costruire reti e trovare partner: non c’è l’obbligo di avere un socio pubblico locale, occorre solo essere accreditati per partecipare ai bandi di gara per gli appalti, ad esempio per le opere infrastrutturali. Dalla meccanica al tessile e abbigliamento, dall’agricoltura alla trasformazione agroindustriale, il campo è molto vasto.

“I più attivi, probabilmente anche per la relativa vicinanza e l’abitudine a guardare verso Est per sviluppare nuove opportunità, sono gli imprenditori della Lombardia, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, non solo con la produzione ma anche per l’export di alta gamma. Agli ucraini i prodotti italiani piacciono molto, dall’alimentare all’oreficeria, dai mobili alla ricchissima presenza dei nostri vini”, aggiunge il presidente di Confindustria Ucraina, “che hanno superato tutti i concorrenti, Prosecco e vini veronesi in testa. Tra Italia e Ucraina c’è una sintonia naturale: portiamo competenze e innovazione e in cambio troviamo le materie prime e un interessante mercato di sbocco. Qualche esempio? Importiamo acciaio, grano, soia, feldspati per piastrelle, legname… ed esportiamo acciai lavorati, macchinari, arredamento, caldaie, tecnologie, agroindustriale e piastrelle, più il meglio del Made in Italy”.

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In un contesto di vantaggio reciproco funziona anche la cooperazione tra istituzioni: sono in corso o in fase di valutazione grandi progetti infrastrutturali, autostrade, trasporti, generazione e distribuzione di energia. Occorre però, conferma Toson, “una visione condivisa da governi e aziende: se non si fa squadra gli appalti vanno altrove. Oggi con l’ambasciatore Pier Francesco Zazo portiamo il sistema Italia in sinergia sul territorio, una vera e propria alleanza strategica. Dopo vent’anni sono convinto che l’Ucraina sia il Paese adatto per uno sviluppo organico delle imprese e per avere nell’Italia uno dei partner principali”.

Nell’attesa che le sirene di guerra (vere o presunte) finiscano le batterie, Toson trasmette agli operatori un messaggio chiaro e positivo: venite a vedere e rimarrete sorpresi. “Bisogna pensare a un’Ucraina molto più vicina alla mentalità europea rispetto ad altri Paesi dei Balcani, sui quali per anni si è raccontata una storia a tratti distorta”, spiega. “Gli ucraini sono produttivi, aperte, non diversi da imprenditori e lavoratori veneti o lombardi. Vero che considerano la Russia un dominatore, ma per il resto si occupano di affari. Potenzialità per inserirsi ce ne sono molte, come prima di noi hanno capito tedeschi e americani, sia nel settore automotive che per l’informatica. Non si viene più qui per risparmiare sui costi, per le badanti e la manovalanza, ma per le risorse. L’Ucraina si sta modernizzando in fretta”, conclude, “e ha la stessa velocità di reazione dell’Italia degli anni Sessanta: cerchiamo di non restare gli ultimi a capirlo e a muoverci”.