(di Nuccio Carrara*) Nubi sempre più fitte e nere si addensano sul cielo dell’Ucraina e dell’Europa. È già partito il martellamento propagandistico occidentale che, come al solito, offre una visione manichea dei fatti: da una parte stanno i buoni, guidati dagli Stati Uniti, dall’altra coloro che non riconoscono il Verbo a stelle e strisce. In realtà la situazione è più complessa e andrebbe vista con distacco e, soprattutto, guardando agli interessi nazionali troppe volte ignorati e calpestati in nome di una presunta solidarietà euro-atlantica.
Per capire ciò che succede oggi non bisogna ignorare ciò che è successo ieri e prendere atto che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica sono successe tante cose e non sempre i cambiamenti sono avvenuti in meglio. Il crollo del comunismo aveva fatto sperare in un mondo senza tensioni e senza conflitti, economicamente più promettente sia per chi si era affrancato da una dittatura sia per il mondo occidentale.
Fino a quel momento la NATO, alleanza a guida statunitense, era l’organizzazione militare delle democrazie occidentali ed avrebbe dovuto avere uno scopo difensivo di fronte ad un ipotetico espansionismo comunista verso l’occidente europeo. La fine dell’impero sovietico, quindi, avrebbe dovuto comportare anche la fine della NATO, che invece non solo non fu sciolta, ma, dopo il 1994, approfittando della dissoluzione della ex Jugoslavia intervenne attivamente nei conflitti etnici e militari che ne seguirono.
Le esigenze difensive dell’Europa “libera” sono difficili da rintracciare anche con uno sforzo di buona volontà. In realtà la fece da padrona l’eterna ingerenza degli Stati Uniti che si sono assunti il ruolo di “poliziotti del mondo”, difensori dei “popoli oppressi” ed “esportatori di democrazia” in ogni angolo del globo terracqueo.
La Russia avvertita come minaccia
Dopo alterne vicende, la Russia è tornata ad essere una grande potenza mondiale e, in quanto tale, viene avvertita come una minaccia dagli Stati Uniti. La NATO non ha perso tempo e non ha mai arrestato la sua espansione verso est portando le proprie basi a ridosso dei confini russi.
Così è stato con Estonia, Lettonia e Lituania, repubbliche baltiche tradizionalmente anti russe, che dal 2004 fanno parte dell’Unione Europea e della NATO.
Oggi la Russia di Putin dichiara apertamente la sua insofferenza verso la politica estera degli USA che, attraverso gli avamposti NATO, disseminati nella ex Europa sovietica, minaccia la sua sicurezza ed impedisce di fatto buoni rapporti con gli stati europei.
Il cambio di regime in Ucraina con la rivoluzione del 2014, fomentata dagli Stati Uniti e dall’immancabile miliardario, mestatore di rivoluzioni colorate, George Soros, ha provocato l’allontanamento dell’Ucraina dalla Russia con le conseguenti ribellioni nella regione del Donbass, sfociate nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, nel sud-est ucraino, e la secessione della Crimea che, prima con un voto parlamentare e poi con un plebiscito, ha aderito alla Federazione russa.
Naturalmente, per gli illibati governanti americani, Putin, che pure non ha ancora voluto riconoscere le repubbliche del Donbass, per non contravvenire agli accordi diplomatici di Minsk nonostante le pressioni della Duma, la camera bassa del parlamento russo, è descritto come attentatore della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, sancito dalle Nazioni Unite, vale molto poco per chi pensa di poterlo applicare a suo piacimento e ove convenga.
La nuova costituzione ucraina
Se si aggiunge che la nuova costituzione ucraina prefigura l’adesione all’Unione Europea e alla NATO, e che ciò comporta il quasi automatico intervento a tutela della integrità territoriale dell’Ucraina (leggasi recupero della Crimea e del Donbass) non dovrebbe essere particolarmente difficile capire i timori e le perplessità di Putin, che non può tollerare le basi militari dell’Alleanza Atlantica a ridosso dei propri confini e ad un tiro di schioppo dalla propria capitale, Mosca.
Il gas russo e i rapporti con l’Europa
Sin qui gli aspetti militari, ma vi sono anche i risvolti economici non meno importanti dei primi. I maggiori fruitori del gas russo sono la Germania e l’Italia che importano circa il 40% del loro fabbisogno. Il North Stream è il gasdotto strategico che direttamente dalla Russia fornisce la Germania attraversando il mar Baltico. Il suo raddoppio è già stato completato, ma non gode delle simpatie di Joe Biden e non è ancora entrato in funzione.
È evidente che una maggiore integrazione commerciale della Germania col colosso russo viene vista come un indebolimento dei legami euro-atlantici e come un pericolo per gli interessi americani, che preferiscono vendere il loro gas da scisto, lo shale gas, estratto dalle rocce con notevole danno ambientale, molto costoso e trasportato con navi cisterna.
Una sorte simile al North Stream è toccata al South Stream, al gasdotto italo-russo fortemente voluto dal governo Berlusconi e mai completato per l’insorgere delle tensioni tra Russia e Ucraina nel 2014 sfociate nelle note sanzioni. L’Italia acquista gas russo prevalentemente attraverso contratti a lungo termine, che ne garantiscono un prezzo stabile al di fuori delle oscillazioni borsistiche e delle speculazioni finanziarie.
L’incontro con gli imprenditori italiani
In una video conferenza con gli imprenditori italiani tenutasi verso la fine dello scorso mese di gennaio, Putin ha fatto sapere che gli scambi commerciali con la Russia, nonostante la pandemia, nel 2021 sono cresciuti oltre la soglia del 50%. L’incontro, non è andato giù né a Sleepy Joe né alla von der Leyen che lo ha giudicato «inopportuno». Ed il nostro Draghi, con solerte spirito di servilismo, ne ha persino chiesto ed ottenuto la cancellazione su internet.
Le sanzioni adottate contro la Russia, che parecchi danni hanno sin qui provocato all’Italia e all’Europa, oggi non bastano più e secondo gli esportatori di democrazia, che hanno disseminato il mondo di oltre mille basi militari (solo in Italia sono più di cento), è venuto il momento di propiziare un nuovo conflitto armato dopo la breve pausa del mandato di Trump.
La tensione è alle stelle e come è facile prevedere, all’Italia, ormai adusa ad andare contro i propri interessi (Libia docet), spetta comunque il ruolo del manzoniano vaso di terracotta costretto a viaggiare tra i vasi di ferro.
*Già deputato e sottosegretario alle riforme istituzionali