(di Stefano Tenedini) Nelle ultime 24 ore la situazione sul fronte sempre più caldo a est di Kiev ha subito una preoccupante accelerazione, passando da ipotesi di mediazione diplomatica tra Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Ucraina allo sferragliare dei cingoli sui confini a Donetsk e Lugansk, le repubbliche separatiste del Donbass riconosciute ieri da Mosca. E ora cosa succederà? Evitare che la guerra scoppi davvero è il primo obiettivo, ma ce n’è uno altrettanto urgente e preoccupante: una devastante crisi economica collegata alle sanzioni che l’Occidente potrebbe imporre alla Russia.
Lo vedremo già nei prossime ore quando, dopo le dichiarazioni bellicose di principio sui valori, gli impegni e le alleanze, si comincerà a valutare come far pagare a Putin il prezzo del suo aggressivo nazionalismo imperiale. Che deve essere salato ma, detto in parole chiare, per lui e non per noi, sempre che sia possibile in un’economia così interconnessa. Di certo se nessuno vuole “morire per Kiev”, vorremmo anche evitare di morire di freddo, di fame e di disoccupazione. Perché è evidente che l’Europa si danneggerebbe da sola dovendo rinunciare al gas, a miliardi di import-export e a investimenti sprecati. Per l’Italia, per le industrie del Nord Est e – a cascata – per Verona sarebbe davvero un disastro.
Impossibile per ora quantificare le perdite future, almeno fino a quando non sarà chiarito il perimetro dei settori colpiti dalle sanzioni e la misura della “multa” che sarà patteggiata tra Washington e Bruxelles, con barricate e assalti alla diligenza in stile emendamenti alla Finanziaria. Possiamo però provare a sondare la profondità dei buchi che si creeranno partendo dai dati dell’interscambio attuale, che si stava riprendendo bene – in alcuni settori molto bene – dopo due anni di apnea da pandemia. Su tutto però incombe una potenziale stretta sul gas: gli Stati Uniti non vogliono che il gasdotto North Stream 2 comincia a lavorare e noi italiani vediamo già in bolletta l’aumento dei prezzi di mercato.
Guardando a Verona, a fine ottobre in Gran Guardia, al Forum Economico Eurasiatico, c’era un discreto entusiasmo per l’incremento a doppia cifra dell’interscambio commerciale nella prima metà del 2021 tra la nostra provincia e l’Unione Economica Eurasiatica, che alla Federazione Russa unisce Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan. Un focus su 1200 imprese dava per il primo semestre una crescita del 24% a 223 milioni rispetto al 2020, riportando i dati ai livelli pre-Covid. Da gennaio a giugno dell’anno scorso l’export delle aziende veronesi è cresciuto del 7% in un anno (125,5 milioni), soprattutto per abbigliamento e automazione che rappresentano circa un quarto del totale a testa. A seguire l’arredo (mobili e marmo, al 9%) e l’agroalimentare (4%, merito soprattutto del vino). Da sola, la Russia è all’undicesimo posto tra i mercati di sbocco delle esportazioni veronesi. Altrettanto importante la crescita delle importazioni nei primi sei mesi del 2021, con un +55% che ha sfiorato i 100 milioni.
Recentemente la Camera di Commercio ha rielaborato i dati Istat sull’intercambio commerciale tra Verona e la Russia. A parte il tracollo del 2020, che non fa testo perché frenato dalla pandemia, il commercio si è risollevato l’anno scorso, quando tra gennaio e settembre le nostre aziende hanno imbarcato per Mosca merci per oltre 171 milioni, in rialzo di quasi il 4%. Tra i settori migliorano manifatturiero, alimentari e bevande, abbigliamento e legno-arredo. Meno bene i macchinari, perché una Russia messa già alle strette si rivolge ai produttori cinesi confermando l’avvicinamento tra Putin e Xi Jinping. Stesso calo per il comparto dell’agroalimentare fresco, sotto embargo dall’annessione della Crimea nel 2014.
Un discorso a parte merita il vino, per il suo forte valore simbolico, ma anche sostanziale. Secondo la Camera di Commercio Italo-Russa la predilezione dei consumatori russi per il vino italiano, in cui Verona e il Triveneto in generale giocano un ruolo rilevante, è confermata dai numeri. Nel 2019 l’Italia è stato il primo fornitore, con 302 milioni di export (+14,1% sul 2018 e una quota di mercato vicina al 30%). Un export che non ha subito cali nemmeno nel periodo del Covid: nel 2020 abbiamo esportato vini per 293 milioni e nei primi sette mesi del 2021 la crescita è stata del 24%. In generale i rossi raccolgono circa il 50% del consumo, gli spumanti il 25% e i bianchi il 20% circa. Un appuntamento cui consumatori russi di certo sperano di non dover rinunciare, visto che ci riconoscono alta qualità e apprezzano questo simbolo di stile di vita italiano, sinonimo di gusto, salute, moda ed eleganza.
Allargandoci da Verona al Nord-Est, sempre nei primi nove mesi del 2021 l’export delle tre regioni del Triveneto verso la Russia ha superato i livelli del 2019, per un totale di 1,2 miliardi di euro (+4,3% sul 2019, +10,8% sul 2020), con macchinari e apparecchiature come prima voce per circa un terzo del totale. Trend anche in questo caso confermato esaminando l’area UEEA, a riprova della reattività del manifatturiero anche grazie a tecnologie green. E a proposito di investimenti diretti in Russia, l’Italia è al terzo posto in Europa con 400 aziende, sia pure staccata dai tedeschi che ne hanno aperte 2500 e dai francesi con 2500. Il valore degli investimenti italiani a Mosca era di 13 miliardi nel 2020, in netto calo negli ultimi anni: un’anticipazione di cosa potrebbe succedere con sanzioni ancora più rigide?
Oltre alle misure di tipo industriale e tecnologico si attende infatti a breve il pacchetto di sanzioni che l’Unione Europea deciderà contro la Russia. Potrebbero essere presi di mira i responsabili politici dell’offensiva, ma anche, anticipa la UE, “le banche che finanziano le operazioni militari nei territori e la capacità della Russia di accedere a mercati, servizi finanziari e capitali Ue, per limitare il finanziamento delle politiche aggressive”. E intanto, mentre Putin assicura che la Russia intende “continuare la fornitura ininterrotta di risorse ai mercati globali, compreso il gas naturale”, il cancelliere tedesco Scholz dice che la Germania intende interrompere il processo di certificazione del gasdotto Nord Stream 2. Il risultato sarebbe un pesantissimo aumento che danneggerebbe l’economia europea, italiana e veronese, in larga parte dipendenti dal gas russo. Gas che meno di un anno fa costava poco più di 25 euro per produrre un megawattora e oggi sfiora i 200 euro.
La crisi ucraina amplifica il boom dei costi energetici e rappresenta “un ulteriore fattore critico per le imprese manifatturiere veronesi strette nella tenaglia di aumento dei prezzi delle bollette e dei carburanti, difficoltà di reperimento di materie prime e di personale, lunghi tempi di consegna e aumento dei costi del trasporto via container”, sintetizza Roberto Iraci Sareri, presidente di Confartigianato Imprese Verona. “Un peggioramento delle tensioni potrebbe dare il colpo finale con un ulteriore rialzo delle borse elettriche e del gas. Non si può più ragionare solo in termini di ristori, ma del futuro energetico del Paese”.