Con quasi 108 mila asseverazioni depositate al 31 gennaio scorso (la misura è operativa dal 1° luglio 2020) lo Stato con il Superbonus del 110% dovrà farsi carico di una spesa di oltre 20 miliardi. Se teniamo conto che in Italia sono presenti quasi 12,2 milioni di edifici residenziali (censimento 2011, quindi l’analisi è sicuramente sottostimata), l’Ufficio studi della CGIA calcola che finora il provvedimento abbia interessato solo lo 0,9% degli immobili a uso abitativo. In altre parole, per permettere ai proprietari che riqualificano i propri immobili una detrazione fiscale del 110%, l’Italia spende 20 miliardi per l’efficienza energetica di una infinitesima quota di edifici presenti nel Paese.
Non solo. Con il Superbonus 110% abbiamo speso quanto ci è costato finora il reddito di cittadinanza. A differenza di quest’ultima misura, però, i vantaggi hanno interessato pochissime persone, in particolar modo facoltose, con un livello di istruzione medio-alto e con proprietà immobiliari ubicate nei centri storici delle grandi città, in particolar modo del Centronord. Insomma, è una misura molto costosa, fortemente sbilanciata a favore dei più abbienti e, sottolinea la Cgia, anche distorsiva del mercato.
Il 110% pertanto, non va “bocciato” per aver provocato comportamenti fraudolenti. Anzi. Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, dei 4,4 miliardi di irregolarità riscontrate, “solo” 132 milioni sono ascrivibili a questa misura. Il Superbonus va criticato, invece, perché presenta un costo in capo alla fiscalità generale spaventoso e non proporzionale al numero di edifici che vengono “efficientati”. Pertanto, secondo gli artigiani mestrini, la soglia di detraibilità delle spese sostenute andrebbe abbassata quanto prima, portata, ad esempio, al 60-70 per cento, anticipando il decalage stabilito dall’ultima Finanziaria. Così facendo, si obbligherebbe il proprietario dell’immobile a una significativa compartecipazione alla spesa dell’intervento manutentivo. La Cgia “non disconosce il ruolo che in questi ultimi anni hanno avuto i bonus nel rilanciare l’edilizia, nel far emergere il nero e nel migliorare la qualità delle nostre abitazioni. Tuttavia, la convinzione di aver speso troppo e di aver “drogato” il mercato edilizio è molto elevata”.
Il centro studi degli artigiani di Mestre ricorda che “questo meccanismo, che consente di detrarre fiscalmente molto più di quanto un proprietario è chiamato a spendere per ristrutturare un edificio, ha innescato una bolla inflattiva preoccupante, alimentata anche dal forte aumento dei prezzi registrato nell’ultimo anno da tutte le materie prime. A fronte di un boom della domanda che, tra l’altro, per legge deve essere soddisfatta entro un determinato periodo di tempo, il Superbonus 110% ha contribuito a far schizzare all’insù i prezzi di moltissimi materiali come ferro, acciaio, legno, sabbia, laterizi, bitume, cemento, mentre altri tra cui lana di roccia, polistirene e ponteggi sono pressoché introvabili”.
Molto particolare poi il trend delle imprese attive presenti nel settore delle costruzioni. Secondo i dati delle Camere di Commercio nel 2021 il numero complessivo è cresciuto di quasi 11 mila unità (+1,4% sul 2020), portando lo stock nazionale a 755 mila. Di particolare rilievo il risultato ottenuto nel Mezzogiorno: in 12 mesi le aziende sono diventate oltre oltre 7000 in più, di cui quasi 5000 hanno la sede in Campania o in Sicilia. Dati puntuali ancora non ce ne sono, ma questo boom è sicuramente riconducibile agli effetti legati alla quantità di bonus che la legge ha introdotto negli ultimi anni nell’edilizia. Non solo. Pare che buona parte delle nuove attività siano guidate da imprenditori stranieri che presidiano in misura sempre più significativa il settore, spesso abbassandone il livello di qualità ed efficienza.
A livello regionale il Veneto ha registrato il più massiccio ricorso al Superbonus 110% in rapporto agli edifici residenziali esistenti, con quasi 14 mila asseverazioni e un’incidenza percentuale dell’1,3%, davanti a Lazio e Toscana con l’1,2% e ad Emilia Romagna e Lombardia con l’1,1%. Meno coinvolte la Calabria e il Molise (entrambe con lo 0,6%) e la Sicilia e la Liguria (con lo 0,5) . A livello nazionale l’importo medio di detrazioni a fine lavori è stato calcolato in 187 mila euro per edificio, con i picchi massimi in Basilicata (299 mila), Abruzzo (244 mila) e Campania (239 mila). Chiudono la graduatoria con gli importi più contenuti la Toscana (153mila) e il Friuli Venezia Giulia con il Veneto a poco più di 144 mila euro per edificio.