(di Paolo Danieli) Sono passati 25 anni dalla morte di Nicola Pasetto. Un quarto di secolo. Per certi versi mi sembra ieri. Per altri un’era geologica. Il telefono che suona in piena notte, la sconvolgente notizia data dalla vicina di casa dei genitori, la corsa da loro per cercare di placare il loro dolore, e poi all’ospedale di Arzignano, perché lì era stato portato Nicola, morto a soli 36 anni. Tornando a Verona da una cena ‘politica’ alla quale avrei dovuto esserci anch’io era uscito di strada con la sua ‘Thema’ poco prima del casello di Montebello. Era con Alessandra, la sua compagna, che si è salvata miracolosamente. Lui invece viene sbalzato fuori dalla macchina e, massimo delle sfiga, finisce con la testa sopra l’unico tombino di cemento che c’era su quel maledetto pezzo di terra. Inutile ormai farsi domande sulla causa dell’incidente. Colpo di sonno? Guasto? Chi lo sa? Alessandra era assopita al suo fianco e s’è svegliata solo per l’impatto. Fatto sta che Nicola non c’è più. O meglio, vive nel ricordo di tutti quelli che gli hanno voluto bene e l’hanno apprezzato.
Quante volte in questi 25 anni mi sono chiesto come sarebbero andate le cose se fosse stato vivo. Un esercizio inutile, si dirà. Ma talmente stretto era il rapporto politico, oltre che umano, che la mia mente si pone in automatico questo interrogativo. Una cosa è certa: le cose avrebbero preso un’altra piega. Sia a livello locale che nazionale. Chissà come si sarebbe posizionato Nicola di fronte alla deriva cesarista di Fini, di cui godeva, ricambiato, la stima, che lo aveva contrapposto ai suoi storici amici Gasparri e La Russa? Avrebbe seguito Fini nello strappo con Berlusconi e nella sua fallimentare avventura? Risposte non ce ne sono. Una cosa è certa: Nicola, legatissimo al suo “gruppo umano”, il da farsi l’avrebbe condiviso con i suoi camerati e la destra veronese e veneta oggi sarebbe un’altra cosa.