Dopo due anni di crisi pandemica, a cui si sono aggiunte negli ultimi mesi le difficoltà di reperire le materie prime e il caro energia, continua a peggiorare l’oppressione burocratica sulle imprese italiane. A causa dell’eccessivo numero di adempimenti, di permessi e l’espletamento delle pratiche richieste dalla nostra burocrazia, il costo annuo in capo alle aziende italiane è di 57 miliardi. Lo sottolinea l’ufficio studi degli artigiani della CGIA, che ha chiarito la dimensione economica di questo fenomeno alla luce delle analisi elaborate da Ambrosetti e Deloitte.
I tempi, i costi e la farraginosità della cattiva burocrazia italiana costituiscono un problema che caratterizza negativamente il nostro Paese, all’interno del quale sono presenti forti differenziazioni tra Nord e Sud, nonché tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Nel Mezzogiorno, dove la pubblica amministrazione è meno efficiente, la situazione è ancor più critica. Non è un caso che molti investitori stranieri rifiutino di trasferirsi in Italia proprio per la difficoltà di lavorare con un sistema burocratico che non ha uguali tra i principali partner europei. E come segnala l’OCSE la produttività media del lavoro delle imprese italiane è più elevata nelle zone dove l’amministrazione pubblica è più efficiente. Lo studio dimostra inoltre che l’inefficienza del settore pubblico costa cara sia alle piccole che alle grandi imprese .
Siamo al 136° posto al mondo per complessità amministrativa, come emerge dal confronto internazionale. Il World Economic Forum conferma che nel decennio 2008-2018 la burocrazia è nettamente superiore da noi rispetto al resto d’Europa. E nel rank mondiale rispetto a 10 anni prima abbiamo perso addirittura sei posizioni. E della scarsa qualità dei servizi non si lamentano solo le imprese, ma anche i cittadini. Lo ha rilevato pochi mesi fa la stessa Commissione Europea: tra i 27 paesi UE siamo desolatamente a tre passi dal fondo classifica, davanti solo a Romania, Bulgaria e Grecia. In Italia solo il 35% apprezza la PA, mentre la media europea è del 52% e i migliori sono addirittura al 70%.
Se il confronto da nazionale scende al livello regionale il risultato è ancor più desolante. Su 208 aree monitorate la prima realtà territoriale italiana per qualità istituzionale è la provincia di Trento, comunque solo al 100° posto, seguita dal Friuli Venezia Giulia al 104°, dal Veneto al 109°, da Bolzano al 117° e dalla Toscana al 126° posto. Purtroppo buona parte del Mezzogiorno si trova agli ultimi 20 posti. L’indice è frutto dei giudizi su un mix di servizi come istruzione, sanità, sicurezza e giustizia.
Secondo la CGIA per rendere la macchina pubblica più efficiente occorre spingere sulla digitalizzazione e il dialogo tra le banche dati pubbliche; insistere sulla standardizzazione di procedimenti e modulistica; e sulla riorganizzazione per evitare che ci siano le sovrapposizioni di competenze che sfociano spesso nelle assurde richieste multiple provenienti dall’amministrazione. L’impresa deve poter contare su norme chiare, senza responsabilità per interpretazioni incerte, rischiando sanzioni da soggetti non coordinati. In sintesi: richieste semplici, una sola piattaforma informatica, una sola risposta e un solo controllo.