(di Bulldog) Marine Le Pen lo chiama “patriottismo economico” che non è una forma rinnovata di autarchia quanto la necessità di un Paese di garantirsi il più possibile l’autosufficienza, il controllo delle proprie ricchezze e fonti di reddito, attraverso  la contrazione della globalizzazione rientrando così dagli eccessi del recente passato. Un trend confermato anche dall’ultimo rapporto di ItalianiCoop realizzato grazie ad un  business panel di circa 800 decisori ed imprenditori.

Anche perché la globalizzazione attuale è del tutto unfair: non fa crescere diritti e redditi nei paesi dedicati alla produzione; non combatte lo sfruttamento dei bambini e delle donne nel lavoro; non tutela l’ambiente naturale; comporta emissioni di migliaia di tonnellate di CO2 per portare dall’Asia all’Europa cosa oggettivamente di scarsa o ridotta utilità come il tessile low cost. E se non fa crescere la classe operaia in Asia distrugge la classe media in Europa. Lo abbiamo visto durante la pandemia: l’Europa ha delegato alla Cina la produzione di tutti i dispositivi sanitari trovandosi senza riserve nel momento in cui un virus nato in Cina dall’incompetenza del loro sistema di ricerca , crea un’emergenza nel resto del mondo.

Lo stiamo vedendo in questa situazione di guerra ai confini orientali dell’Unione: con quale acciaio costruiremo i nostri prossimi carri armati? In quale impianto in Europa smantelleremo l’arsenale attuale per recuperare acciaio e tutte le altre materie riutilizzabili? Come possiamo pensare all’indipendenza ed alla transizione energetica se i pannelli solari li fa la Cina, se le pale eoliche le fa la Cina? Ha senso che rischiamo la carestia in autunno perché il sistema è abituato a comprare il grano e il mais soltanto da 4/5 produttori al mondo?

No, non ne ha. Bisogna rientrare sulle posizioni economiche del secondo Dopoguerra. Non a caso, Emmanuel Macron nel suo discorso di insediamento ha ripreso alcuni dei concetti di Marine Le Pen annunciando di puntare ad una Francia più indipendente e più forte nella difesa dei valori repubblicani e dell’interesse nazionale.

Dopo aver fermato l’ingresso della Cina in una impresa friulana che produce droni militari, anche il governo italiano sta immaginando un rafforzamento della “golden power” che verrà estesa lavorando su due leve: la prima impone l’obbligo di notifica anche per la costituzione di nuove imprese in settori strategici, a partire da difesa e sicurezza nazionale. La seconda leva estende il potere di intervento del governo in tutte le procedure per affidare le concessioni nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni: impianti idroelettrici (citati espressamente dal testo), ma anche porti, aeroporti, autostrade. Si interverrà sulle gare – anche in quelle europee – e quando vi sia un 10% del capitale in mani cinesi o russe.

Siamo esattamente all’opposto, rispetto alla “via della seta” ingenuamente aperta dal governo giallo-verde.

Sarebbe buona cosa però fare un passo in più: riaprire una nuova IRI (esattamente come per il  nucleare il referendum utilizzato dalle lobby per abbattere il precedente va superato velocemente)  e iniziare ad avviare imprese nel settore dell’energia: si impongano delle rigide regole di sicurezza ma si facciano termovalorizzatori in ogni provincia utilizzando non speculatori ma le muti-utility locali; si torni a studiare il nucleare pulito; si avvii una giga-factory assieme a Elon Musk o a chi volete voi investendo qualche miliardo sottratto alla porcheria del reddito di cittadinanza per sviluppare nuovi prodotti nelle rinnovabili  (nuovi pannelli ad alte performance, tegole per sviluppare l’autoproduzione delle nostre città, impianti di stoccaggio) per aumentare l’indipendenza energetica nazionale e costruirci la leadership nelle rinnovabili nel bacino mediterraneo.

C’è una valanga di lavoro da fare; ci sono una valanga di quattrini dormienti; c’è una forza lavoro che chiede qualità, salari giusti e sicurezza sociale; c’è un’Europa che sta lasciando i banchieri per tornare alla politica; c’è una nuova emergenza di sicurezza nazionale. C’è un patrimonio agroalimentare che va sostenuto e riportato alla sua missione: produrre cibo e non soltanto “emozioni”. C’è un Sud da ripopolare e indirizzare  verso il giusto sviluppo.

Ci manca la politica, ma il virus della verità e la guerra di aggressione di Putin ci costringeranno a costruirne velocemente una più decente dopo quella proposta da pagliacci negli ultimi tempi.