(di Simone Alessandro Cassago) Dal 1831 a oggi le Assicurazioni Generali possono davvero essere considerate un caposaldo del mondo assicurativo–finanziario targato Nord Est. Il simbolo scelto all’epoca per rappresentarne il brand, ovvero il Leone della Serenissima Repubblica, è quanto mai un’icona azzeccata di un modo di fare business molto serio e di lunga visione. Lo dicono tanti fattori, a partire dalla sua solidità (è il quarto gruppo assicurativo europeo, molto presente anche nei mercati extra UE), dalla sua redditività e dalla sua capitalizzazione di Borsa.
Il Leone di Trieste, dove ha la sede legale, incorpora in sé un piccolo gioiellino che rappresenta un modo totalmente diverso di fare credito: Banca Generali. L’istituto nasce nel 1998 per volere dell’allora DG di Generali, Giovanni Perissinotto, il quale, da Ceo del gruppo, due anni dopo porterà a termine e con discreto successo la fusione tra il Leone e Ina Assitalia. E nasce come banca online, con l’obiettivo di farla diventare in breve un polo finanziario d’eccellenza del gruppo, in grado di offrire un’ampia gamma di servizi e soluzioni di investimento: così avverrà. Riassumiamo in una breve cronistoria i vari passi che hanno portato a questo risultato anno per anno.
Nel 2000 Banca Generali acquisisce Prime SpA, società di risparmio gestito, incorporandola con tutta la sua rete di consulenti finanziari conglomerati in Prime Consult SIM. Due anni più tardi, nel 2002, viene avviata SimGenia SIM, rete di consulenti specializzati anche in campo assicurativo, presente nelle agenzie del gruppo Generali, ramo polizze vita. Nel 2003 le tre Sim (Prime Consult. Altinia e Ina SIM) vengono incorporate sotto una sola rete di distribuzione che assume il nome di Banca Generali, Sempre nello stesso anno acquisisce Banca Primavera da Banca Intesa, conglobando anche qui il network di consulenti.
Nel 2005 si replica acquisendo da Banca Intesa la SIM Intesa Fiduciaria, rinominata Banca Generali SIM. E inizia la costruzione della divisione Wealth Management. l’anno dopo, il 2006, vede il 15 novembre Banca Generali quotata in Borsa a Milano (nel FTSE MIB dal 2017) con un prezzo base d’asta di 8 euro per azione: oggi ne vale circa 32. Nel 2009 si avvia Banca Generali Private Banking. Poi Banca Generali nel 2012 viene premiata dal Financial Times come Best Private Bank in Italy, e ottiene lo stesso riconoscimento dal 2018 al 2021. Nel 2014 intanto si porta a casa il ramo d’azienda private banking di Credit Suisse in Italia. La crescita a passo di carica richiama anche i top manager del settore, come Gian Maria Mossa (già in RAS e Fideuram), che nel 2016 viene nominato direttore generale e dall’anno dopo è amministratore delegato.
Banca Generali, con il suo solido private banking (molto presente in Veneto, a Verona ha una succursale e due filiali in centro storico), è un gioiello e una realtà di successo. Possiamo dirlo perché lo confermano i numeri: nel 2017 ha registrato ricavi e masse gestite per 6,86 miliardi, con un incremento rispetto sull’anno precedente di oltre il 20% e un’utile netto di 204 milioni, con un +30% sull’anno prima. Cifre salite a 85 miliardi nel 2021 per le masse gestite e a 342 milioni per l’utile netto, sempre in crescita anno su anno. Questo successo è dovuto in parte l’ottimo lavoro del suo AD, ma anche agli sforzi di tutta la compagine targata Generali, che ha fatto crescere il business grazie a un’ottima rete di consulenti finanziari e all’attenzione per la qualità del sevizio. Vedi la creazione di una piattaforma di trading come SAXO e di CONIO, sistema di negoziazione di bitcoin attiva da tre mesi per acquistare criptovalute in tutta sicurezza.
Un gioiello che però nell’ultimo anno ha navigato in acque agitate dal conflitto interno al CdA di Generali. E non potrebbe essere altrimenti, visto che è controllata al 51% dal Gruppo Generali, più un 25% di società minori del gruppo e il resto sul mercato. Quando due azionisti rilevanti e storici del Leone, Caltagirone e Del Vecchio hanno aperto le ostilità, è apparso chiaro che il vero bersaglio era lo strapotere pluridecennale di Mediobanca. Anche perché la banca d’affari, un tempo artefice delle principali operazioni societarie nell’era del “capitalismo di relazione” (un sistema dove i rapporti personali contavano più dei bilanci e del business), è da oltre un decennio un po’ in ombra, proprio come le pratiche nelle quali era maestra.
Mediobanca ha sempre avuto la maggioranza delle azioni di controllo del Gruppo Generali, fino ad un anno, fa quando Caltagirone e Del Vecchio hanno acquisito ingenti pacchetti azionari sul mercato, arrivando a superare lo stock controllato dalla stessa Mediobanca e costringendola a correre ai ripari, con grandi manovre e scontri che L’Adige in questo periodo tumultuoso ha riferito nei dettagli. Tanto che a fine aprile all’assemblea per il rinnovo del CdA la Lista di maggioranza ha riproposto la nomina di Philippe Donnet come Group CEO, carica che ricopre dal 2016. Mediobanca ha vinto, sconfiggendo Caltagirone e Del Vecchio (e i Benetton), grazie anche ai voti determinanti dei fondi istituzionali esteri che ormai rappresentano oltre un terzo del capitale della compagnia.
Al fischio finale la situazione sembrava aver ripreso una certa serenità, con la nomina unanime a presidente di una figura di alto profilo come Andrea Sironi, rettore della Bocconi e presidente di Borsa Italiana. E alla prima occasione, la nomina (avvenuta solo a maggioranza) dei cinque comitati consiliari che definiscono l’architettura strategica del gruppo, il clima all’apparenza disteso si è di nuovo raffreddato sullo stop imposto al comitato per le operazioni strategiche. Ne è seguita una nuova rottura con Caltagirone, che considera questo comitato come il luogo in cui portare il contributo al dibattito interno anche degli azionisti di minoranza.
Il board ha comunque aperto alle minoranze, e ha incaricato il comitato per la corporate governance di trovare una soluzione che accontenti tutti. Perché ne parliamo? Perché è un comitato chiave proprio in riferimento a Banca Generali. Gira infatti voce che fra i temi sul tavolo del comitato operazioni strategiche ci sarebbe un’autentica rivoluzione, niente meno che la cessione di Banca Generali a Mediobanca, con la conseguente uscita di entrambe dalla galassia Generali. Le due banche si ritroverebbero unite per formare un nuovo polo finanziario di grandi dimensioni e standing, ma soprattutto il matrimonio potrebbe far ritrovare un po’ di pace o almeno di serenità all’interno del CdA. Al momento il mercato con l’andamento del titolo mostra di ritenere l’operazione più che fattibile. La palla resta in mano a Generali, e in particolar modo al presidente Sironi che sarà costretto a compiere una lunga e delicata mediazione con tutte le parti in gioco.