(di Stefano Tenedini) Ancora un rumoroso colpo di scena nella partita infinita per il controllo del vertice di Assicurazioni Generali. Il consigliere Francesco Gaetano Caltagirone si è dimesso dal Cda di Generali con effetto immediato, ma le sue motivazioni non sono state ancora rese note. Una scarna nota della compagnia triestina sottolinea soltanto che “il CdA sarà convocato nei prossimi giorni per ogni conseguente decisione in merito alla sua sostituzione”. Caltagirone a oggi risulta detenere direttamente o attraverso varie società a lui riconducibili una quota del capitale sociale di Assicurazioni Generali pari al 9,95%. La Borsa, comunque, ha reagito male: il titolo ha chiuso a 17,05 euro con un -1,98%.
E così, con le dimissioni (attese? o a sorpresa?) di quello che a tutti gli effetti si è affermato come il leader della minoranza, lo scontro per il reale controllo al vertice del colosso assicurativo prosegue aprendo un nuovo capitolo ancora tutto da decifrare. Un passaggio annunciato a Borsa aperta, il che ha generato un immediato effetto sui mercati, oltre che alla vigilia dell’incontro del comitato nomine di Generali, che proprio lunedì avrebbe dovuto provare a richiudere la spaccatura più rilevante. Pochi si attendevano una vera e propria pace, ma si puntava almeno a una tregua funzionale alla regolare ripresa delle attività, tentando di superare lo scoglio del comitato dedicato all’esame delle operazioni strategiche, chiesto dall’imprenditore romano ma negato dalla maggioranza.
La guerra di logoramento fra Caltagirone e il Ceo Philippe Donnet, uscito vincitore dall’assemblea di fine aprile, va avanti da molti mesi e si è fatta sentire anche durante l’Opa del Leone su Cattolica. E proprio a proposito della compagnia veronese, ora che si sta chiudendo anche la partita dell’acquisto delle azioni residue (Generali ha raggiunto il controllo su oltre il 91% del capitale), è il momento di guardare avanti, ai piani di sviluppo. L’interesse degli ultimi azionisti (ma soprattutto dei dipendenti, della rete di agenzie e del territorio) è che non si frappongano ulteriori ostacoli alla ripresa di un percorso di crescita ed equilibrio che le pessime vicende degli ultimi anni hanno di molto rallentato.
Tornando invece alla sfida di Caltagirone, non si può derubricare le scelte sue e del CdA a un semplice duello tra personalità molto forti e schierate con visioni opposte. C’è in ballo una questione concreta: la rappresentanza di una minoranza tutt’altro che marginale proprio sui dossier più caldi che nei prossimi mesi e anni dovranno essere esaminati per contribuire allo sviluppo del business per linee esterne, cui tutti guardano con interesse.
Che il CdA conservi solo per se stesso il diritto di deliberare sulle linee guida e sulle singole operazioni potrebbe non andare giù, oltre che a Caltagirone e al suo alleato Del Vecchio, anche ad altri investitori di peso, come la stessa Mediobanca o i Benetton e forse anche alcuni fondi. Ma il vero vulnus sulla via dell’armistizio resta il potere concentrato nelle mani di Donnet: “Occorre una distribuzione equilibrata del potere, altrimenti è un regime”, aveva detto senza mezzi termini Caltagirone alla stampa.
Scegliendo “Risvegliamo il Leone” come slogan per presentare il suo progetto di piano industriale, l’editore il costruttore ed editore romano aveva reso esplicito i toni e soprattutto il vigore del suo impegno. Aveva ottenuto infatti tutta l’attenzione della savana intorno a Trieste, ormai sveglissima in attesa degli sviluppi. Quella savana che oggi cerca di comprendere il significato del nuovo ruggito.