(Di Gianni Schicchi) La direzione artistica dell’Estate Teatrale Veronese di Carlo Mangolini è partita col vento in poppa grazie all’ottima prima nazionale de Il Mercante di Venezia, andato in scena al Teatro Romano in collaborazione con il Teatro Stabile del Friuli, il Centro Teatrale Bresciano e il Teatro de Gli Incamminati milanese. La stagione shakespeariana, nella collaborazione di Arteven e col sostegno di alcuni fondamentali sponsor, Agsm-Aim, Banco Bpm, Cattolica Assicurazioni e per la prima volta il Consorzio del Lessini Durello, è così decollata con successo ed una buona affluenza di pubblico.

Una delle più ambigue (e drammatiche) pagine dello scrittore inglese è tornata a coinvolgere ancora una volta il pubblico veronese ponendo lo stesso ennesimo dilemma: se il vero protagonista sia Antonio, il mercante del titolo o Shylock, l’usuraio ebreo che ha reso immortale il testo, o ancor più Porzia, autentico fulcro dell’opera che sembra provenire da un mondo a sé stante.

Tre storie insomma, partendo da quella di Antonio, disposto al sacrificio della vita per la felicità dell’amico Bassanio; a quella di Shylock, che agogna di poter sfogare sulla martoriata pelle del suo concorrente cristiano, l’immensa rabbia per tutte le ingiustizie sofferte della sua razza; e infine a Porzia, che conquistato al suo amore il bel Bassanio, riesce a garantirselo per sempre salvando la vita di Antonio. Un testo che obbedisce all’antisemitismo d’ordinanza nell’Inghilterra dell’epoca, ma che dissemina tuttavia la commedia di messaggi cifrati, allusivi, che invitano a diffidare delle apparenze. E se mostra un intrigo in cui l’usuraio è il “cattivo” e Antonio il “buono”, disegna poi impietoso tutte le mollezze, il cinismo, l’asservimento alle ragioni del denaro della comunità veneziana, che non esita a mettere a morte un suo pari pur di non perdere le caratteristiche di porto franco dell’epoca.

Paolo Valerio ha saputo ne tenere conto di queste tre vicende (e pure di quelle minori, della vibrante Jessica e del suo Lorenzo, nonché del furbo Lancillotto e di suo padre) intrecciandole agilmente e unendole insieme con finezza intuitiva e morbidezza d’incastro, ricorrendo a qualche trovata scenica di chiara invenzione. Uno spettacolo avvincente, incalzante, vario, spesso imprevedibile (indovinati e piacevoli movimenti di scena di Monica Codena e le musiche di Antonio Di Pofi), che non ha fatto sentire il peso della lunga marcia notturna.        

Franco Branciaroli ha mostrato ancora una volta un’abilità da puro filigranista attorno al suo torvo personaggio, svelandone l’astuta sottigliezza, il gelido livore, l’acre piacere e la profonda desolazione. Piergiorgio Fasolo ha invece fatto del suo Antonio il ritratto di un sottile e raffinato decadentismo, tutto intriso di malinconia, mentre Valentina Violo, a servire da raccordo e distacco, è stata una Porzia splendida, dialetticamente imbattibile, tenera e avveduta nel contempo pronta donare e difendere le sue virtù.  Tutti gli altri   

Hanno ben risposto al loro impegno tutti gli altri, da Francesco Migliaccio, a Emanuele Fortunati, Stefano Scandaletti, Lorenzo Guadalupi, Giulio Cancelli, Dalila Reas, Mauro Malinverno, Mersila Sokoli. Le scene erano di Marta Crisolini Malatesta e i costumi di Stefano Nicolao con le luci di Gigi Saccomandi.