La salute è un costo? Sì, ma a parte che lo dovremmo sostenere volentieri perché la prevenzione migliora e allunga la vita, un sistema sanitario funzionante sarebbe anche economicamente più sostenibile. Anzi, farebbe bene alle casse dello Stato, come testimoniano diverse analisi. Di ricerca e investimenti necessari si è parlato a Verona nell’incontro “InnovaCtion – cosa serve alle idee per diventare salute, impresa, futuro”, promosso da GlaxoSmithKline in occasione dei 90 anni di presenza del gruppo farmaceutico in Italia.

Uno studio della Johns Hopkins University ha analizzato gli effetti della spesa in prevenzione sul contenimento della spesa sanitaria negli Stati Uniti: per ogni dollaro speso ad esempio in vaccini si risparmiano 16 dollari di spese mediche e 28 per costi indiretti legati alla produttività del lavoro, per un totale di 44 dollari. In Italia invece una ricerca di Altems ha considerato i casi di influenza, malattia pneumococcica e herpes zoster nella popolazione occupata, malattie oggi prevenibili con i vaccini. Lo studio ha considerato nel nostro Paese non solo il costo della perdita di produttività del lavoro, ma anche il calo dei consumi e la riduzione del gettito fiscale. In sostanza l’impatto annuo complessivo è di circa 1,1 miliardi, di cui 185 milioni per la parte fiscale e 915 milioni per quella previdenziale.

Insomma, investire in prevenzione conviene. Ma l’Italia, mentre si dimostra organizzata ed efficace nel vaccinare bambini e adolescenti, funziona meno bene per gli adulti, che da un lato hanno un lungo ruolo attivo e lavorativo, e dall’altro invecchiando hanno maggiori bisogni di salute che la comunità deve affrontare con enormi costi di trattamento e ricovero. In Italia secondo il rapporto Osmed la spesa totale per i vaccini nel 2020 è stata di 562,5 milioni, di cui però solo 108 spesi per le tre patologie sopra citate (il Covid non c’entra) per gli adulti e gli anziani, potendo così coprire solo parzialmente le fasce da proteggere. Infatti l’antinfluenzale è andato al 63% degli over 65enni, contro un obiettivo del 75%; il vaccino anti-pmeunococcico ha raggiunto solo il 3%, ma anche qui si puntava al 75%; scarsissimo anche il dato dell’herpes zoster, che ha raggiunto solo l’1% di un target ipotizzato al 50%.

GSK 2 Tommasi 1 scaled
GSK 3 Landazabal 1 scaled

Dati imbarazzanti. Per raggiungere gli obiettivi solo per queste tre vaccinazioni bisognerebbe investire il 229% in più (2,4 miliardi). Ma il problema non è solo trovare le risorse per i vaccini, ma anche individuare le persone adulte che potrebbero beneficiare delle vaccinazioni. In questo però paradossalmente l’esperienza fatta con le vaccinazioni anti Covid di massa si potrebbe rivelare preziosa per creare anagrafi vaccinali e campagne informative efficaci. Ma ovviamente occorre il contributo dei ministeri per la politica economico-sanitaria, delle regioni che devono attuarla e del settore farmaceutico, fornitore di un servizio essenziale per la salute e volano di competitività e attrattività per l’innovazione. Lo hanno ribadito a Verona anche i vertici di GSK, che ha confermato l’impegno in Italia con 617 milioni di investimenti in ricerca e produzione nelle strutture italiane tra il 2020 e il 2024, di cui circa 300 nel prossimo biennio.

D’accordo il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti: “La domanda di farmaci, vaccini e strumenti diagnostici è principalmente una domanda pubblica sostenuta dal Sistema sanitario nazionale. Il governo ritiene necessaria una riflessione tra le istituzioni e le imprese per rivedere le regole e il finanziamento della domanda pubblica di prodotti farmaceutici, le norme sulla loro commercializzazione e la fissazione dei loro prezzi. Così si renderebbero compatibili tra loro l’attrazione di investimenti con la sostenibilità del Sistema sanitario. Il dialogo con il settore farmaceutico è importante per innovare le regole, per definire collaborazioni virtuose e favorire gli investimenti in innovazione”.

Il sindaco di Verona Damiano Tommasi ha riconosciuto che “GSK in questi anni ha fatto molto per Verona e ha dimostrato sul campo quanto può dare alla comunità, al di là dell’aspetto produttivo. Mi riferisco alla capacità del gruppo di generare valore e di avere da sempre una visione a lungo temine: visione che in Italia manca perché siamo sempre impegnati a gestire le emergenze”. Gli ha fatto eco Fabio Landazabal, presidente e amministratore delegato di GSK SpA: “Siamo a Verona da 90 anni e la nostra è una storia di sviluppo, investimento e crescita. Verona ora è un centro strategico per coordinare gli investimenti, e abbiamo sviluppato un polo biofarmaceutico a Parma e in Toscana. Stiamo investendo in ricerca sul sistema immunitario in chiave terapeutica e per la prevenzione. Nuove tecnologie ci permettono di prevenire malattie nell’adulto, e il nuovo ruolo di Verona è pensato anche per attrarre talenti e creare uno spazio in cui generare nuove soluzioni”.

Giovanni Tria, economista ed ex ministro, ha ricordato l’importanza di “implementare le innovazioni per non farle andare all’estero. Poli di ricerca, sperimentazione clinica e banche dati aiutano tutti coloro che dalla ricerca vogliono arrivare all’industria. Occorre supportare un sistema che renda conveniente investire in Italia. Qui c’è una buona ricerca e tecnici che garantiscono la qualità, ma le autorizzazioni richiedono troppo tempo. C’è lentezza anche nell’ingresso sul mercato, anche perché il sistema sanitario è regionale. L’emergenza Covid ha reso evidente che c’è qualcosa che non funziona”.

“Investire in salute consente un miglioramento della vita delle persone e le rende anche più efficienti sul piano produttivo. Il settore farmaceutico”, ha aggiunto in conclusione Luca Paolazzi, consigliere del ministro dell’Economia e delle Finanze, “è tra i più importanti dell’industria italiana. Non solo moda, arredamento, alimentare: siamo tra i primi al mondo in quello farmaceutico, e dobbiamo quindi innalzare occupazione e investimenti, con un’attenzione particolare alle figure professionali femminili”.