(di Paolo Danieli) Avevo già cominciato a sostenere la necessità dell’autonomia ancora nel Msi. Era l’inizio degli anni ’80. La Liga muoveva i primi passi con Franco Rocchetta. E io l’avevo presentato al ‘federale’ di allora, Fabrizio Comencini, che sul tema la pensava come me al punto da diventare qualche anno dopo nientemeno che il capo della Liga Veneta. 

Ma il Msi era un partito centralista. Posizione ereditata dal Fascismo, ma dovuta anche al radicamento a Roma e nel sud, dove non essendoci stata la guerra civile, i missini erano accettati, al contrario di quanto avveniva al nord. 

Io invece cercavo di far capire che federalismo e destra sono compatibili. L’Autonomia ha sempre fatto parte dei sistemi politici tradizionali, come l’impero, da quello di Roma all’asburgico, passando per il Feudalesimo. E non erano pochi quelli che mi davano ragione.  Specialmente i giovani, che pur richiamandosi alle radici del Fascismo, si sentivano sempre più svincolati da certe impostazioni dottrinarie. E anche i più aperti dei missini meridionali.

Il centralismo romano-centrico permane anche con la trasformazione del Msi in Alleanza Nazionale. Io continuo a spingere per l’Autonomia. Solo che nel 2001 Berlusconi e Bossi impongono a Fini, come condizione per stare nella coalizione, l’adesione al federalismo. Ricordo la riunione della segreteria nazionale in via della Scrofa in cui venne deciso di accettarla cui partecipai come coordinatore del Veneto, dove il partito aveva abbracciato la causa dell’Autonomia. Ma fu un’accettazione solo formale. Tanto che quando venne discussa in Parlamento la Devolution (una riforma federalista all’acqua di rose) molti furono gli emendamenti di An per annacquarla. E, appena approvata, Domenico Fisichella, uno dei fondatori, si affrettò a firmare la richiesta di referendum abrogativo.

Il partito restava centralista. E fu allora che per giustificare la scelta presso la base meridionale s’inventarono il contrappeso del presidenzialismo. Come dire: accettiamo l’Autonomia, ma in cambio della Repubblica Presidenziale.  Un escamotage per tenere buona la base del centro-sud da un lato e per spostare l’asticella sempre più in là, per ritardare la concessione dell’Autonomia a quelle regioni, come il Veneto, che la richiedono. Un escamotage per non perdere voti al nord, dove quelli come me sono diventati più numerosi, facendo passare l’idea che non è che Fratelli d’Italia sia contrario all’Autonomia, purché sia abbinata al Presidenzialismo. Insomma, la solita storia. 

In realtà si può essere favorevoli all’una e all’altro. Ma non sta scritto da nessuna parte che siano interdipendenti.

E di ragioni ce ne sono da vendere. Prima fra tutte quella che per avere l’Autonomia basta una legge costituzionale semplice, la modifica dell’art.116. Mentre per trasformare l’Italia da Repubblica Parlamentare in Presidenziale è molto più complicato perché bisogna metter mano all’impianto della Costituzione, da parlamentare in presidenziale. Senza considerare che resta sempre l’enormità, ignorata volutamente, che 5 regioni l’Autonomia già ce l’hanno già e che ciò non ha messo in pericolo l’unità nazionale, come vanno cianciando i suoi detrattori. E che non si capisce perché alcune la possono avere e altre no.

E arriviamo ad oggi. I partiti del centrodestra hanno sottoscritto un programma comune in cui la Lega ha ottenuto che ci sia anche l’Autonomia. Fratelli d’Italia ha accettato con la solita riserva mentale. Sì, sì…l’Autonomia, ma con il Presidenzialismo. Un film già visto. E poi, dice Crosetto, che di FdI è uno dei fondatori, ad autunno scoppieranno un sacco di problemi e l’Autonomia può aspettare. L’allergia all’Autonomia ai Fratelli d’Italia non è ancora passata e questo potrebbe frenarne la crescita in Veneto.