(di Paolo Danieli) Un filo nero accomuna l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuta il 3 settembre di 40 anni fa, e la morte di papa Albino Luciani, avvenuta il 28 settembre 1978. Un filo nero, costituito dagli stessi dubbi e sospetti che rimangono su molti eventi luttuosi di quel periodo opaco della storia italiana che va dalla fine degli anni ’60 agli anni ’80, con qualche propaggine anche nei primi ani ’90. Dubbi e sospetti mai fugati né chiariti.
Dalla Chiesa e Luciani: due uomini lontani fra loro per ruolo e tipologia.
Il primo un piemontese, un militare, un carabiniere che aveva sconfitto le Brigate Rosse e si stava impegnando nella lotta alla mafia.
Il secondo un prete veneto diventato papa con una votazione quasi unanime del Concistoro che nel giro di poche settimane aveva risvegliato per la dolce semplicità dei suoi tratti una comunità cattolica che sembrava assopita all’interno di una società sempre più laicizzata.
Dalla Chiesa super-prefetto antimafia per poco più di 4 mesi.
Luciani papa solo per 33 giorni.
Due vite stroncate. Due missioni interrotte fin dall’inizio. Due morti improvvise.
Quella del generale un assassinio evidente.
Quella del papa una morte naturale non così evidente.
Per entrambi i dubbi sono sorti su come sono state gestite le morti.
Per il super-prefetto i dubbi non sono nati attorno all’A112 crivellata di colpi di Kalashnikov, ma per la sua cassaforte trovata aperta senza il dossier che vi teneva.
Per il papa i dubbi sorsero per le incongruenze e le bugie raccontate sulle circostanze del decesso e sul rifiuto del Vaticano di fare l’autopsia.
Entrambi gli episodi avrebbero anche potuto passare in secondo piano se non collegati ad altri.
Dalla Chiesa indagava sulle connessioni fra mafia e politica che solo anni dopo emerse fossero parte di un sistema di potere consolidato non solo in Sicilia.
Luciani aveva inaugurato un modo diverso di fare il papa, con dichiarazioni pesanti circa il rapporto della Chiesa con la ricchezza ed il denaro, in un momento in cui lo Ior, la banca del Vaticano, faceva affari poco chiari con banchieri chiacchierati come Sindona e Calvi.
Entrambi avevano fatto preoccupare certi ambienti del potere.
Il generale quelli che avevano qualcosa da nascondere nei rapporti con la mafia.
Il nuovo papa l’establishment del potere vaticano che gestiva la finanza e determinava la politica della Chiesa.
Fin qui la storia delle due morti parallele che, essendo opache, inducono al dubbio, che è l’unico metodo per raggiungere la verità. E di dubbi ce ne sono.
Per Dalla Chiesa sono sorti subito sulle mancate protezioni, sul venir meno di quelle elementari norme di sicurezza che avrebbero dovuto essere disposte attorno ad un personaggio così a rischio. Quasi in alto ci fosse qualcuno che avesse voluto mandarlo allo sbaraglio, tanto per liberarsi di un personaggio scomodo. Scomodo non solo per quello che poteva scoprire sui rapporti mafia-politica, ma – e questi dubbi sono sorti in seguito- proprio per la politica in sé, ovvero per chi deteneva il potere. Perché? Perché il generale aveva acquisito presso gli italiani una tale popolarità che in qualche modo avrebbe potuto costituire un pericolo rappresentando un alternativa.
Per Albino Luciani i dubbi vennero lanciati addirittura prima della sua morte, in modo criptico, comprensibile per gli addetti ai lavori e per tutti solo ‘a babbo -pardon- a papa morto’. Fu il settimanale OP (Osservatore Politico) diretto da Mino Pecorelli, un giornalista che aveva molti rapporti con i servizi segreti e che aveva sempre saputo cose che gli altri non sapevano, a lanciare il dubbio che il nuovo papa non fosse gradito alla loggia massonica che comandava in Vaticano costituita da 120 fra cardinali, vescovi e monsignori vari. E fu sempre Pecorelli che mise in relazione la salute del papa con l’ostilità della curia. Ed anche il fatto che pochi mesi dopo Pecorelli sia stato assassinato a colpi di pistola aumenta ancora di più i dubbi.
La strategia della tensione, le stragi, le Brigate Rosse, Ustica sono fatti collegati dallo stesso filo nero che corre attraverso molte morti più o meno eccellenti. Lo stesso filo nero che collega le morti di papa Luciani e Dalla Chiesa. Il filo del dubbio e del sospetto.
Se conoscere il passato serve per costruire il futuro, se l’Italia non riesce a costruire un avvenire certo per i nostri figli lo si deve anche al fatto che un velo di omertà, di segreti di stato, di falsità ci impedisce ancora di conoscere la nostra storia recente. E questo, più che un filo nero, è un macigno che fa da zavorra e impedisce al nostro paese di spiccare il volo.