(di Bulldog) L’Adige lo sostiene da tempo: Enrico Letta è il primo alleato di Giorgia Meloni. Il dibattito appena conclusosi del Corriere della Sera fra i due front-runner del centrosinistra e del centrodestra (l’unico possibile dopo lo stop imposto alla Rai dall’Autorità garante che ha impedito alla maggioranza degli Italiani di conoscere in prima serata, dal vivo, le idee dei due principali partiti del Paese…) ha messo chiaramente in luce che fra i due c’è qualcosa di più del ruolo giocato in questa partita. Intanto, c’è la consapevolezza di essere davvero i due leader della competizione: essere entrambi attorno al 24-25% (il che significa che rappresentano da soli la metà dell’elettorato) permette loro di confrontarsi sui temi “importanti”, da “statisti”, con l’autorevolezza data dalle dimensioni del proprio partito, lasciando agli altri runner il ruolo di comprimari. Non possono più permettersi di sgarrare sulle cose che contano – collocazione internazionale, debito pubblico, rapporto con Bruxelles, diritti civili – e sono costretti a ragionare già da premier in pectore.

Questo è di fatto un plus concesso a Giorgia Meloni: Letta il ruolo di leader del Paese, di primo ministro, l’ha già svolto (brevemente, dato che il suo partito, il PD, lo impallinò alla prima occasione per mettere al suo posto l’allora segretario Dem, Matteo Renzi). Ha già conosciuto i big europei, è già stato “unto” dai circoli più esclusivi sulle due sponde dell’Atlantico e la carriera universitaria (ha insegnato alla prestigiosa facoltà di Sciences Politiques, dirigendone la Scuola di affari internazionali) l’ha tenuto a stretto contatto con i nomi che contano. Del resto, Letta – di buona famiglia e ottime relazioni – è tutto tranne che un parvenu o un dilettante della politica.

Au contraire, Giorgia Meloni da quei circoli non è mai stata cercata. I suoi legami sono col CPac, il club dei partiti conservatori che si ritrova ogni anno negli USA; coi conservatori dell’est europeo trattati come paria maleducati e pezzenti da Bruxelles e coi ragazzi di Vox, la sfida da destra ai popolari spagnoli. Non esce da una ricca famiglia, non ha frequentato le belle università, ma adesso è lì e discute alla pari con un ex premier. Ha fatto la sua strada, oggi guida il partito dei conservatori europei, e certamente è più sanculotta di Letta. Comunque la si giri, un assist importante per lei.

Infatti, la sfida che Letta e Meloni giocano con toni da statisti è oggi è una competizione feroce proprio con riguardo a quei tavoli – Washington come Berlino e Bruxelles – che contano per davvero. Siamo lontanissimi all’Ital-Brexit e dalla narrazione fatta dal mainstream della gauche sui futuri rapporti con l’Unione. Qui, la competizione è di fioretto, ma di sostanza: Letta vuole un’Europa ombrello che paghi i conti italiani a fine mese e che la metta così al riparo da un cambio radicale promettendo una lunga transizione verso i riti e le regole del nord Europa; Meloni vuole un’Italia dentro alla decisioni che contano, senza pagare più dazio alla grandeur franco-tedesca, senza paura del voto ostile olandese (i Paesi Bassi sono i nostri principali competitor sulle politiche fiscali e finanziarie: nessun accordo con loro sarà mai possibile di fatto) e, soprattutto, portavoce delle istanze tanto dell’asse mediterraneo che di quello orientale («Se la Polonia e l’Ungheria hanno i nervi tesi forse è perchè l’Europa li ha abbandonati cinquant’anni sotto il giogo sovietico e non vogliono ritrovarsi nuovamente in quella situazione» spiega). Un ‘Europa – dice la Meloni – che respira a due polmoni, quello orientale e quello occidentale («Come chiedeva Giovanni Paolo II» aggiunge) diversa e alternativa a quell’Europa «dove vince la maggioranza fra gli Stati, dove non ci sarà più l’obbligo all’unanimità che ci ha impedito di fare passi importanti in avanti sui temi dei diritti e dell’ambiente» come ribatte Letta.

Un’Italia in grado di sapere quanto costeranno i 120 miliardi di prestito del PNRR e di ottenere le stesse possibilità concesse al socialista Portogallo che sta aggiornando in questi giorni il suo PNRR per far fronte a mutate esigenze del paese lusitano. Una domanda che Meloni ha posto senza ottenere ancora risposta…

Potere vero, insomma. Soldi e ruolo in Europa e nel mondo. Letta e Meloni giocano su questo tavolo, lasciando al governatore Emiliano o alle dichiarazioni all’Ansa di Matteo Salvini (rilasciate proprio mentre era in corso il confronto fra i due, non a caso…) il ruolo di rumore sullo sfondo. La partita vera è qui, fra questi due. Che hanno dieci giorni per convincere gli indecisi e, soprattutto, per catalizzare tutti i voti possibili all’interno del proprio schieramento dove entrambi hanno bisogno di stravincere e non soltanto di vincere. Si sarebbero persino abbracciati oggi se non si fosse comunque in campagna elettorale…