(Di Gianni Schicchi) L’arrivo della Philharmonia di Londra – terzo appuntamento de Il Settembre dell’Accademia – era molto atteso, non solo per la fama dell’orchestra inglese nota in tutto il mondo, ma perché si presentava curiosamente con un giovane direttore, non ancora affermato sui grandi circuiti internazionali. Parliamo del finlandese Santtu-Matias Rouvali, volto nuovo ed emergente fra le ultime leve direttoriali, con già all’attivo qualche exploit nei Paesi Baltici, Germania, ultimamente anche in Inghilterra. Qui al Filarmonico alle prese specialmente con la Seconda Sinfonia in re maggiore di Jean Sibelius, la più romantica del musicista finlandese.
Raramente ci è capitato di ascoltare un dominio così totale sull’orchestra, non tradotto però in una oppressiva imposizione, come quello palesato dal giovane direttore finlandese, arrivato sul podio stranamente per una emergenza. E che dopo la sua formazione come timpanista, vanta anche studi di direzione con i famosi preparatori come Panula, Segerstam, Lintu e la vicinanza di una famiglia di eccellenti musicisti. Santtu Rouvali è un altro esempio di quanto la scuola nordica stia prendendo il sopravvento su quella più famosa tedesca e in opposizione ad essa, perché tutti i suoi giovani direttori (finlandesi soprattutto) provengono dall’interno dell’orchestra, suonano uno strumento, partono dal repertorio sinfonico (e non operistico come gli italiani), con una mentalità comune, con una attitudine simile nel lavoro, una stessa disciplina e anche un suono assimilabile, abbastanza brillante.
Rouvali nella Seconda Sinfonia supera poi una delle maggiori problematiche dell’interpretazione: quella di verticalizzare il procedere ritmico della musica di Sibelius. Lui molto argutamente la lascia invece fluire orizzontalmente, con l’ulteriore capacità di illuminarne i dettagli dell’orchestrazione inserendoli in una visione d’insieme coerente e strutturata. Dimostra la capacità di muoversi nella densità dell’orchestrazione sibeliana con la sinuosità di una lontra in acqua, mettendo perfettamente a fuoco la relazione tra resa del dettaglio e senso della struttura sinfonica: una prova che giustifica in pieno la liceità dell’operazione. Maestria insomma in sommo grado, ma al servizio di un’intelligenza formale ed una lucidità di analisi, mai disgiunta da un profondo coinvolgimento emotivo. C’è solo da augurargli che non si disperda nel jet set direttoriale contemporaneo, come accade spesso per altri colleghi.
La prova superba della Philharmonia d’altro canto è stata di uno splendore timbrico abbagliante (archi semplicemente strepitosi) concorrendo alla coerenza del progetto interpretativo.
Considerevole pure l’apporto solistico della famosa violinista nipponica Sayaka Shoji (perfezionatasi in Italia), figura esile, ma dal forte temperamento, impegnata nel Concerto n° 2 in sol minore per lo strumento di Prokofiev (inciso in più di un’occasione), cogliendone sapientemente e con estro le abbondanti melodie suadenti, le armonie consonanti, i sensuali colori orchestrali – specie nello stupendo Andante centrale – e le maniere accattivanti. Una virtuosa di razza, ma anche una musicista di grande sensibilità che ha concesso come bis una vorticosa Fantasia brillante di Wieniawskj. Successone della serata con applausi prolungati agli interpreti, preceduta dall’inno inglese (omaggio alla regina Elisabetta scomparsa), con tutto il pubblico in piedi.