Misteri geopolitici da trattare davanti al caminetto, se non ci fosse di mezzo un’invasione lampo che poi è diventata una guerra sanguinosa punteggiata di orrende stragi di civili e previsioni molto fosche. Qual era all’inizio il vero obiettivo di Putin? E qual è adesso che la controffensiva ucraina ne mette (almeno) in dubbio l’esito? E anche: cosa vogliono Biden e l’Europa? Cosa succederà tra gli USA e la Cina davanti a Taiwan? Come ne uscirà una UE in apparenza unita ma nei fatti divisa come al solito? E l’Italia, davanti a un autunno con i termosifoni caricati a salve? E la stessa America, che tra un mese e mezzo andrà alle urne per decidere, paradossalmente, come giocarsi le elezioni del 2024?
C’erano molti argomenti sul tappeto al talk-non-show su “Lo Stato dell’Impero: dall’Ucraina a Taiwan, chiacchierata geopolitica sulla superpotenza USA”, organizzato all’Antica Dogana ai Filippini e promosso da Luigi Spellini per l’associazione che promuove eventi culturali in quest’angolo magico di Verona. E chi ha sfidato la gelida brezza e l’umido dell’Adige si è trovato ad ascoltare molte spiegazioni che hanno scatenato ancor più domande, destinate a ricevere risposta tra mesi o anni, nonostante la competenza e la passione dei due esperti americanisti Alessandro Tapparini, che scrive per Wired e altre testate, e Mattia Magrassi, presidente del Limes Club di Verona e autore per Atlantico. A dirigere il traffico di dubbi e approfondimenti Stefano Tenedini, direttore de L’Adige.
La guerra dichiarata da Putin a Kyiv ha preso tutti alla sprovvista: nessuno in Europa si aspettava che le minacce diventassero realtà e la reazione è stata frammentata e limitata. Anche gli Stati Uniti all’inizio sembravano non dare troppo credito al conflitto, salvo poi offrire da sola il maggior supporto agli ucraini in termini di armamenti e materiali. Se si va oltre le trincee appare evidente che il conflitto vero è tra Mosca e Washington, anche se va comunque ribadito che il prezzo più alto lo pagano gli ucraini, sia i militari in prima linea che così i civili colpiti dai bombardamenti e vittime di vessazioni e torture.
Gli Stati Uniti contribuiscono ad armare l’esercito e rifornirlo di dati e intelligence, ma si tratta di un peso economico meno fastidioso rispetto a quello che pagano e pagheranno gli europei in seguito alle sanzioni e al prezzo e alla carenza di energia. La UE – considerata un gigante economico ma un nano politico e di scarso peso militare – si dice pronta a fare la sua parte: ma anche se il contributo è molto inferiore a quello degli USA, sta già colpendo la popolazione e l’economia. Ciò nonostante per Putin siamo un “Occidente collettivo” tutt’uno con gli americani, quindi secondo lui ne meritiamo le conseguenze.
Ma l’Europa ha un tarlo interno che la porta a essere lenta, a non decidere e a spaccarsi fra Paesi membri: così i problemi si accumulano e si aggravano. Accade perché nell’Unione Europea si entra per la convenienza economica, non certo per adesione a valori o ideali. Un atteggiamento figlio di un pensiero debole che ha rimosso la storia dalla sua quotidianità, illudendosi di cancellare la guerra. Che però torna di prepotenza a farsi viva sul confine orientale. Va anche detto che nella UE gli schemi politici e decisionali sono complicati, dipendono dalle situazioni dei Paesi che contano di più e sono azzoppati dall’anacronismo del voto unanime. Insomma: incapace di dare ai cittadini risposte pronte e necessarie, lontana dalla consapevolezza condivisa di uno scenario complicato e pericoloso, la UE è percepita sempre più come un ente inutile, allontanando la speranza di costruire gli Stati Uniti d’Europa.
Durante il dibattito si è affacciata spesso una riflessione sullo stato miserevole in cui versa l’informazione, sottoposta da febbraio a una vera e propria una manipolazione. Anzi, in alcuni momenti i media si sono prestati a sposare le posizioni delle parti in conflitto, ospitando tesi estreme e voci schierate, tanto da trasformarsi in veri e propri organi di propaganda. Una condizione nella quale l’informazione italiana purtroppo non brilla né per equilibrio né per deontologia: e anche se siamo tutti consapevoli che in guerra la prima vittima è sempre la verità, dall’estero ci sono piovute addosso molte (meritate) critiche. Alla fine si è comportato meglio il governo Draghi, che ha ribadito che l’Italia farà tutti gli sforzi possibili a favore dell’Ucraina, pur incoraggiando eventuali negoziati.
Archiviato il capitolo Ucraina, con la consapevolezza che lo scontro durerà ancora a lungo, il discorso si è allargato alla Cina, dove la tensione con gli Stati Uniti rimane alta non solo per Taiwan ma per il crescente peso economico di Pechino, che ha confermato con forza la sua volontà di riportare la “provincia ribelle” nell’alveo della madrepatria. Dagli USA in questi anni e soprattutto nell’era Biden è arrivato spesso il segnale che Washington non lascerà Taipei al suo destino. E la visita lampo della speaker della Camera Nancy Pelosi ha riportato l’orologio all’epoca delle cannoniere, oggi portaerei che sfilano nello stretto che separa Formosa dalla costa cinese. Anche qui vi sono motivazioni politiche, la ricerca della supremazia sui mari per ostacolare l’espansione militare cinese, e la sfida economica lanciata da una Pechino sempre più forte e aggressiva a un Occidente e diviso e impoverito.
Un anno dopo il grave danno d’immagine per la fuga dall’Afghanistan, gli Stati Uniti stanno impegnandosi a ricostruire la propria identità in tutto il mondo: con il dubbio se fidarsi o no di controparti e alleati come India, Turchia e il mondo arabo. Anche qui implicazioni rispetto alla Russia: Xi Jinping, Narendra Modi e perfino Erdogan hanno preso le distanze da Putin, ma per i loro interessi, non certo per rispetto verso l’Ucraina. Ma poi si torna ancora all’Europa, con la quale i rapporti restano altalenanti nonostante il comune sforzo per il confronto con Mosca. Gli USA soffrono di dover sostenere quasi tutte le spese, per la UE i danni alla produzione e l’energia sono un freno allo sviluppo. Washington assicura che non ci farà mancare il gas, ma è pur sempre un fornitore interessato. L’alleanza USA-UE non si discute, insomma, ma in futuro potrebbe venire rinegoziata. A beneficio di chi?
Per finire, luci puntate proprio sugli Stati Uniti: questo pentolone globale di tensioni può far diventare i segnali di incertezza potenzialmente critici in politica interna? A poche settimane dalle elezioni di Midterm per rinnovare un buona parte entrambe le camere è bene non fare previsioni, ma Mattia Magrassi e Alessandro Tapparini hanno illuminato i vari scenari possibili e gli esiti che potrebbero destabilizzare Biden e modificare l’equilibrio tra Democratici e Repubblicani in vista delle presidenziali 2024: e mancano solo due anni.
Prima Trump, presidente antipolitico e imprevedibile, e poi anche Biden, che ha confermato le strategie geopolitiche anche se con meno enfasi e apparente disponibilità a trattare, gli Stati Uniti oggi sembrano diventare sempre più una superpotenza stanca di comportarsi come asse portante e custode di un impero che costa molti sforzi all’estero ma all’interno “rende” poco. E guardando alle prossime votazioni, cosa farebbe dire “vittoria” democratica o repubblicana? Il cambiamento è atteso, ma dipenderà dalle proporzioni: se la maggioranza perdesse davvero molti seggi, faticherebbe a far passare leggi e decisioni.
Che riflessi ci sarebbero sulla corsa alla Casa Bianca? Se davvero Biden si ritirasse i Dem per adesso non hanno un candidato solido: men che meno la vicepresidente Kamala Harris, che si è arenata, anzi sgonfiata poco dopo essere arrivata sulla rampa di lancio. Mentre i Rep si ritrovano ancora con Trump (o un suo candidato) a fare da cavallo vincente. Ma questa è un’altra storia: c’è sempre la via giudiziaria per impedirgli di ritornare in sella, anche se finora nonostante inchieste e perquisizioni la “pistola fumante” non è saltata fuori.
In conclusione di serata, un disperato tentativo di tirare le somme in questa valanga di informazioni e scenari: cosa sta pensando l’impero americano in questa fase? La tendenza è abbastanza chiara: da un lato gli USA vorrebbero prendere le distanze, ma restano vigili sul mondo con temporanee fiammate di interesse praticamente in tutti gli scacchieri. Più coinvolgimento militare in Ucraina ma apparente disimpegno altrove, molte guerre commerciali, rapporti da chiarire con i partner occidentali, sorrisi e sospetti con terzo mondo e parti correlate. Sembrano prove tecniche di isolazionismo morbido, ma senza rinunciare a tenere la scena. Ma è nella politica interna che l’imbarazzo degli osservatori cresce: ormai sembra diventata l’Italia, con due fazioni radicalizzate che negano legittimità l’una all’altra. Una cosa è però certa: dovunque vogliano andare gli Stati Uniti, siamo destinati ad andarci anche noi.