I dati dell’Alzheimer sono preoccupanti. In Italia sono 1.487.368 le persone affette da demenza. Cifra destinata ad aumentare del 56% entro il 2050, quando si stima potrebbero esser 2.316.951. Una vera piaga sociale, perché l’Alzheimer o le demenze assimilate non capiscono solo il malato, ma anche i famigliari, che si trovano a gestire, fin dal movimento della diagnosi, una situazione pesantissima che spesso li porta ad avere problemi psicologici, neurologici, psicosomatici o addirittura psichiatrici.
Questo nella ‘fortunata’ -si fa per dire- ipotesi che il malato possa contare sull’assistenza della famiglia, perché secondo il Rapporto Mondiale Alzheimer 2022 diffuso in occasione della Giornata Mondiale l’85% delle persone con demenza rischia di non ricevere le cure adeguate dopo la diagnosi. Ed è gravissimo perché la demenza porta chi ne è affetto a non essere autosufficiente.
Anche se non esiste una terapia eziologica per questa malattia c’è comunque la possibilità di intervenire farmacologicamente per limitarne i danni ed è obbligatorio organizzare attorno al malato una rete di protezione e di caregiving integrate nell’assistenza domiciliare. Il momento più difficile è proprio quello immediatamente successivo alla diagnosi, quanto il malato è in una fase grigia, in cui crede di essere autonomo ed autosufficiente, ma non lo è. E le limitazioni alla sua libertà che i suoi famigliari sono costretti a porre in essere a sua tutela i più delle volte non sono recepite dall’interessato come tali e non accettate.
La gestione del malato di demenza, generalmente di lungo periodo, implica un’assistenza h24 ed un cambio del modo di vita del nucleo famigliare del malato, cosa di cui la comunità deve farsi carico organizzando servizi adeguati.