Prima notizia: sarà un percorso ad ostacoli, ma è un percorso possibile se Verona, Valpolicella e Valpantena coi rispettivi stakeholder ci crederanno per davvero. Seconda notizia: per il Tocatì, il festival scaligero dei giochi da strada, siamo al rush finale e potrebbero arrivare notizie positive – col riconoscimento dello status di Patrimonio culturale dell’umanità -Unesco – in tempi ravvicinati, già la prossima settimana nella riunione del board Unesco a Rabat (Marocco).
Ma, soprattutto, è un percorso che si può fare, che serve alla denominazione Valpolicella per avviare una nuova stagione di crescita, ma anche di salvaguardia. Perché il patrimonio dell’appassimento – oltre agli aspetti tecnico-produttivi – è un valore del territorio scaligero, è una conferma di identità, che “pesa” mille500 anni, un’occasione per proteggere il paesaggio, per tramandare usi e tradizioni che rischiano di venir spazzate via dalla globalizzazione. E questo sforzo dovrà per forza essere “collettivo”: il Consorzio della Valpolicella, presentando questa mattina la to-do-list per arrivare al riconoscimento ha chiamato a raccolta tantissime realtà e, per la prima volta, anche il Comune di Verona (il Comune con la più vasta superficie vitata della denominazione, ben mille300 ettari, presente il sindaco e produttore di uve, Damiano Tommasi): una squadra ampia, con diversi parlamentari della maggioranza, consiglieri regionali, la politica locale. E, terza notizia, il risultato è che questa “call to action” ha funzionato e ora si può marciare assieme per realizzare un progetto credibile per l’Unesco.
Un percorso ad ostacoli, dicevamo. Ed infatti Pier Luigi Petrillo, che dirige – unico europeo – il board dell’Unesco che valida le candidature, ha spiegato senza mezzi termini quanto dura sarà la selezione: «Gli Stati membri dell’Unesco sono 180 e possono presentare un solo progetto all’anno. Al massimo, il board analizza sessata progetti l’anno. Di questo 30% ne passa la metà: al massimo 30 proposte ogni anno. Una ogni sei presentate». Praticamente, una sorta di decimazione che, infatti, costringere l’Italia (il Paese che ha il maggior numero di siti materiali e immateriali al mondo) ad attendere l’esito di oltre una trentina di tradizioni meritevoli di riconoscimento Unesco in lista d’attesa. Con tempi davvero lunghi.
A complicare il quadro – sottolinea Petrillo – c’è anche una certa sottovalutazione internazionale del made-in-Italy alimentare e la gestione del fattore alcolico che per diverse culture rappresenta un disvalore. «Quando abbiamo proposto i piazzaioli di Napoli come patrimonio immateriale, i nostri colleghi ci hanno chiesto stupiti: e che c’entrate voi con la pizza? La pizza è americana. Nella loro mente la pizza era PizzaHut così come il gelato è Hagen-Dazz o il caffè Starbucks. La globalizzazione è passata sopra le nostre storie, le nostre tradizioni. Ma il riconoscimento Unesco porta incredibili risultati: non soltanto moltiplica il numero delle presenze turistiche internazionali (più 300% a Padova di prenotazioni alla cappella degli Scrovegni; più 400% di enoturisti nel distretto del Prosecco Conegliano-Valdobbiadene) anche col rischio di non saper gestire il nuovo traffico, ma permette di valorizzare professionalità che altrimenti verrebbero banalizzate o schiacciate dalla globalizzazione. Torno, nuovamente, ai pizzaioli napoletani: prima, il loro lavoro era l’ultimo rifugio dei disperati, oggi è una professione che ha riscoperto la sua dignità e il suo valore sociale». Quindi, promozione ma anche consapevolezza e per i territori una nuova responsabilità: quella di preservare e condividere la propria cultura. Il paesaggio, in questo, sarà uno degli indicatori da monitorare: un cambiamento anche per i produttori e per il modello di business stesso della Valpolicella.
Verona dovrà però “forzare” il proprio carattere: non potrà difendere la propria autenticità “chiudendosi” ma al contrario aprendosi e condividendo col mondo le proprie conoscenze. «Ad esempio – prosegue Pier Luigi Petrillo – forse è il caso che pensiate ad un museo virtuale dell’appassimento che raccolga tutte le vostre competenze, la vostra cultura al riguardo, e le renda disponibili al mondo intero».
La roadmap prevede l’apertura del Comitato promotore al maggior numero di realtà del territorio: oggi, ad esempio, ne è entrata a far parte l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, il cuore della sapienza scientifica scaligera che dal 1768, dal doge Morosini, è in prima linea sulla valorizzazione e crescita dell’agroalimentare delle nostre vallate.
Per Christian Marchesini, presidente del Consorzio della Valpolicella capofila dell’iniziativa: “L’appassimento delle uve è, non a caso, la prima tecnica vitivinicola ad essere candidata come patrimonio culturale dell’umanità. Si tratta infatti di un savoir faire che ha scritto la storia ma anche l’economia del nostro territorio, ne ha plasmato i prodotti definendone la qualità, contribuendo a disegnare la geografia e l’evoluzione sociale, l’etica del lavoro e l’imprenditorialità, le festività e i ritmi stagionali. Un tassello fondamentale della nostra identità che non può essere dato per scontato, e che deve essere compreso e valorizzato anche e soprattutto dalle nuove generazioni”.
Per Massimo Gianolli, vicepresidente della Rete Valpantena e presidente de La Collina dei Ciliegi: «Appassimento vuol dire non solo vino di qualità, ma anche radici, impresa, valore aggiunto: una vision collettiva che non può non coinvolgere, trasversalmente, tutti gli stakeholder del territorio e che vedrà la Valpantena protagonista nel sostenere il progetto. Come imprenditore italiano è mio orgoglio portare nel mondo la nostra identità, la nostra capacità di creare. Il riconoscimento Unesco ci permetterà di valorizzare il molto che è ancora poco noto del nostro territorio».