(di Stefano Tenedini) Non meno di 70 miliardi per tenere in equilibrio i bilanci delle famiglie e delle imprese in un inverno che si annuncia tra i più difficili degli ultimi cinquant’anni. E’ la cifra necessaria da impiegare entro la fine dell’anno per evitare una grave crisi, così come è stata calcolata dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre. Guardando a casa nostra, invece, i dati mostrano che la provincia di Verona potrebbe crescere del 4,7% quest’anno e strappare un +0,5% anche nel 2023, piazzandosi in quinta posizione nella classifica nazionale grazie alla tenuta dell’industria e al richiamo del turismo.
Partiamo dai conti dell’Italia. Ben 35 dei 70 miliardi necessari servono subito per dimezzare il caro bollette, e altri 35 dovranno essere trovati con la legge di Bilancio 2023 per evitare che a partire da gennaio decadano alcune delle misure introdotte dal governo Draghi. La situazione è molto critica: il nuovo governo dovrà quindi fare l’impossibile per recuperare tutte queste risorse senza ricorrere a un aumento del deficit, visto che potrà beneficiare di un tesoretto che potrebbe arrivare al massimo a 25 miliardi e dovrà recuperarne altri 45. Insomma, rischiamo un 2023 molto complicato a livello nazionale e sul territorio: secondo le previsioni ben sei province su dieci registreranno una crescita negativa.
Per dimezzare il caro energia, dunque, servono almeno 35 miliardi. La CGIA stima che per mitigare il caro energia questa cifra vada trovata entro Capodanno per compensare in parte gli aumenti di costo previsti nel 2022 a carico della popolazione e del sistema produttivo. Aumenti che, pur considerando i 58 miliardi di aiuti già erogati quest’anno contro il caro bollette, ammontano complessivamente a 70 miliardi. Ecco perché ne serviranno altri 30, cui si aggiungono i 5 miliardi per estendere anche a dicembre gli effetti anti-rincari del decreto Aiuti ter.
Già nelle scorse settimane la CGIA aveva sottolineato che visti gli scarsi margini approvare in tempo la prossima legge di Bilancio non sarà semplice: il voto definitivo deve arrivare entro il 31 dicembre, altrimenti scatterebbe l’esercizio provvisorio. E ciò rende ancor più difficile trovare le risorse per confermare i provvedimenti di salvaguardia: quasi 15 miliardi nel primo trimestre pr le misure contro il caro energia, almeno 8,5 miliardi per indicizzare le pensioni, altri 5 miliardi per il rinnovo del contratto del pubblico impiego, 4,5 miliardi per lo sconto contributivo del 2% ai dipendenti fino a 35 mila euro e 2 miliardi di spese indifferibili.
Sono spese che non lasciano spazio ad altre misure (come quelle di cui si parlava in campagna elettorale, come flat tax, le pensioni minime a 1000 euro o taglio del cuneo fiscale). Il governo che ha appena giurato può contare sui 25 miliardi di tesoretto ereditato da Draghi, di cui 10 da usare subito e altri 10 da impiegare nella manovra 2023. Risorse che sono state recuperate senza nuovo deficit, perché nel 2022 i conti sono stati mantenuti in ordine.
Un ulteriore aiuto potrebbe arrivare anche da Bruxelles, che sta per mettere a punto una misura per recuperare i fondi strutturali europei 2014-2020 non spesi o non impegnati in modo vincolante. L’Italia potrebbe avere a disposizione quindi altri 4-5 miliardi. Ma a fronte dei 70 miliardi di spese da impegnare nel giro di poco più di due mesi, il governo può contare su una copertura di circa 25 miliardi. Se si volesse evitare uno scostamento di bilancio, non sarà certo facile trovare in poco tempo i 45 miliardi mancanti.
E questo riguarda solo oggi e l’inizio del prossimo anno. Le previsioni per l’intero 2023 sono infatti molto nebulose, e la CGIA lo ha sintetizzato con l’immagine delle sei province su dieci in recessione. Anche se per ora è complicato fare ipotesi attendibili, per gli istituti di ricerca è chiaro che sarà un anno davvero difficile. Delle 107 province monitorate da Prometeia, ad esempio, 67 (il 62%) registreranno una crescita negativa. A livello nazionale il Pil (o meglio il valore aggiunto reale) sarà pari a zero.
Nonostante questo si verificheranno alcune sorprese positive, e Verona sarà tra queste: quinta nella graduatoria di crescita preventivabile per il 2023, è la provincia messa meglio di tutto il Veneto, dietro solo a Milano, Savona, a una sorprendente Salerno e alla rivale di sempre Bologna. Per quest’anno il tasso di sviluppo della provincia scaligera sul 2021 è calcolato in un 4,7%, mentre l’anno prossimo cresceremo dello 0,5%: poco, ma il segno positivo ha un suo valore intrinseco, oltre che psicologico. Desta però qualche preoccupazione vedere che la crescita del 2022 rispetto al 2019 che consideriamo il riferimento base per il prima e dopo Covid, è prevista solo in un +0,6%, a dimostrazione che l’entusiasmo di un anno fa si è trasformato in un pericoloso rallentamento, visto che la media italiana di recupero si attesta su +0,9%.
Nel confronto con il Veneto spicca come Verona si sia piazzata meglio delle altre provincie a prescindere dalle loro caratteristiche socio-economiche e produttive, industria o servizi. La graduatoria regionale infatti vede Venezia seconda (nono posto nazionale) con +4,4% nel 2022 e +0,4% nel 2023; Belluno al terzo posto (tredicesimo nazionale, +2,9% nel 2022 e +0,3% nel 2023); Padova è quarta (39° posto, +3,6% nel 2022 e purtroppo crescita 0% nel 2023); Vicenza quinta (46° posto, +3,3% nel 2022 e una crescita addirittura negativa a -0,1% nel 2023); al sesto posto Treviso (che cade al 73° posto nazionale con un +2,8% quest’anno e una previsione di recessione al -0,4% nel 2023); settima e ultima del Veneto Rovigo (al 106° e drammaticamente penultimo posto nazionale davanti solo a Vibo Valentia, per effetto combinato di una crescita 2022 ferma al +2% e di un calo nel 2023 ipotizzato a -0,9%).
Anche se non è possibile leggere in dettaglio oggi per quali motivi alcune zone cresceranno decisamente più di altre (dal +0,8% della leader Milano giù fino al -1% della provincia calabrese), si può dire che le previsioni negano un’Italia a due velocità, visto che nord e sud si trovano abbastanza equamente sparse ai vari livelli in classifica. Registreranno una crescita positiva tra le altre anche Salerno, Foggia, Bari, Fermo, Viterbo e la stessa Roma. Così come sotto la metà della classifica si trova buona parte del Piemonte con Novara, Alessandria e Vercelli, ma anche Pavia e perfino Bergamo, Brescia e la Brianza.
La CGIA segnala infine, per raffreddare del tutto l’ottimismo di fine 2021, che sono molte le province che non hanno ancora recuperato il livello di ricchezza raggiunto nel 2019, prima dell’inizio della recessione da Covid: le situazioni di maggiore ritardo si concentrano non solo nelle zone più storicamente depresse, ma anche in aree abitualmente reattive ed economicamente stabili del Centro Sud come in Toscana, tra Siena, Prato e Pisa, con picchi oltre il -2%.