(di Lorenzo Salimbeni *) L’epilogo della Prima guerra mondiale segnò finalmente il ricongiungimento con il resto d’Italia per Trieste, Gorizia e l’Istria e, grazie a successivi accordi diplomatici, anche per Fiume e Zara. Si trattava di località abitate in prevalenza da italiani e la città di Fiume il 30 ottobre 1918 aveva addirittura proclamato l’annessione al Regno d’Italia appellandosi al principio di autodeterminazione dei popoli.

Il 4 novembre 1918 segnò non solo la fine di quella che tanti irredentisti e patrioti nell’Adriatico orientale e nell’ambito dell’interventismo avevano identificato come una Quarta guerra d’indipendenza necessaria a completare il percorso di unificazione nazionale avviatosi con il Risorgimento. Il successo militare di Vittorio Veneto non servì solamente a realizzare gli ideali e le aspirazioni per cui centinaia di irredenti giuliano-dalmati combatterono nell’esercito italiano, andando pure incontro alla morte sul capestro come Nazario Sauro o Fabio Filzi. Quella vittoria significò anche la fine di un incubo che colpì la popolazione italofona suddita degli Asburgo, deportata in squallidi campi di internamento nel cuore dell’Austria in quanto ritenuta collettivamente responsabile di intelligenza con il nemico. Wagna, Braunau, Mitterndorf e Pottendorf sono i Barackenalager più tristemente noti in cui migliaia di istriani, trentini, goriziani, triestini e fiumani subirono un soggiorno coatto in condizioni igieniche, sanitarie e di abitabilità ai limiti della sopravvivenza.

È necessario ricordare anche questi dettagli a beneficio di chi indulge nella celebrazione di una fantomatica Austria felix che in realtà dal Consiglio della Corona del 1866 in poi avviò politiche mirate all’annichilimento della comunità italiana ancora compresa entro i confini dell’Impero.

(*Responsabile comunicazione Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia)